Ogni anno, il venticinque aprile ci ricorda la fine della guerra e di un’odiosa dittatura, e la nascita di un’Italia libera e democratica. Nello stesso tempo, però, ritornano alla memoria ferite non rimarginate, per violenze atroci, che hanno segnato in particolare la nostra terra e la nostra Chiesa reggiana.
In questi giorni, ho riletto la storia di santo Stefano, il primo martire cristiano. Condannato a morte, viene lapidato e muore invocando il perdono sui suoi uccisori. Fra questi, c’è un giovane, che si chiama Saulo e che sarà conosciuto meglio con il suo nome romano, Paolo. La morte di Stefano è il frutto del suo amore fino al sangue per il suo Signore, Gesù; nello stesso tempo, contro ogni apparenza e ogni speranza, ma proprio per l’esempio del suo Maestro, egli si consegna, certo che il perdono dato ai suoi uccisori sarà fecondo. Così è stato, poiché il giovane Saulo sarà ferito dallo stesso amore per il Signore di Stefano e diventerà Paolo, l’apostolo delle genti.
Dopo tanti anni, un altro giovane, Sergio, venne chiamato a collaborare all’uccisione di un discepolo di Cristo. Era l’alba del 30 gennaio 1944, al poligono di tiro di Reggio, e a quel ragazzo di quindici anni fu dato l’incarico di dare il colpo di grazia a don Pasquino Borghi, che veniva ucciso per rappresaglia, assieme ad altri otto innocenti. Nella sagrestia di san Pellegrino è conservato il cappotto che don Pasquino indossava e che porta i fori delle pallottole che lo hanno colpito al cuore. Questa collocazione è stata scelta, perché proprio lì, il 10 gennaio, don Pasquino incontrò don Angelo Cocconcelli e Giuseppe Dossetti sr., che cercarono di dissuaderlo dal continuare a ospitare prigionieri alleati evasi e partigiani nella sua canonica di Tapignola. La risposta fu: “Dove li mando, poveri ragazzi, che fuori c’è la neve e nessuno li vuole”. Dopo pochi giorni, venne arrestato e fucilato. Per questo, viene chiamato “martire della carità”.
In questi anni, il gruppo che si occupa di trasmettere la memoria di don Pasquino si è messo in contatto con Sergio. Egli è morto, novantatreenne, il Mercoledì Santo di quest’anno, nel giorno che la Chiesa dedica tradizionalmente alla riconciliazione dei peccatori. La sua testimonianza è stata la seguente: “Subito dopo l’uccisione di don Pasquino, fui certo di due cose: che egli mi aveva perdonato e che la mia vita doveva essere dedicata ad aiutare i poveri e i sofferenti”. Così fece, nel suo impegno professionale e di volontariato. Il 30 gennaio di quest’anno, aveva sottoscritto, assieme ai famigliari di don Pasquino, una memoria, nella quale si attestava la fecondità del perdono.
Desidero ricordare così la vicenda di don Pasquino e di Sergio:
Venticinque aprile.
Nel nome, una profezia:
“Pasquino”, piccolo uomo della Pasqua,
della morte e della risurrezione.
La morte è di un momento,
la risurrezione è per sempre.
La morte apre il varco alla vita.
Vennero i giorni della decisione: non si poteva essere neutrali.
Fu la fede a guidarti:
eri ministro di Colui che aveva consegnato la sua vita, per te e per tutti.
Anche a te un’arma aperse il cuore:
da quella ferita attingiamo la memoria della carità,
del dono senza condizioni e rimpianti.
Vennero per noi i giorni del compromesso,
talvolta dell’infedeltà.
Oggi, però, ricordandoti, sentiamo
che ci è data una nuova occasione,
perché l’amore si rigenera sempre,
come un albero tagliato,
a primavera.
don Giuseppe Dossetti