C’è una parabola di Gesù, che farà discutere i sindacalisti fino alla fine dei tempi. La scena assomiglia a quella che i più vecchi di noi hanno visto, tanti anni fa, soprattutto in occasione delle nevicate. I disoccupati si radunavano nella piazza vicino alla porta della città, per essere ingaggiati per la spalatura. In tempi più recenti, questa forma d’ingaggio si è rinnovata con gli immigrati e, se dalle nostre parti si svolge di nascosto, in altri posti d’Italia è condotta alla luce del sole.
Al tempo di Gesù, la crisi economica aveva portato con sé una grave disoccupazione, soprattutto in Galilea. Ora, c’è un padrone che prende a giornata operai per la sua vigna. La paga concordata è buona: un denaro, una moneta d’argento, per un impegno dall’alba al tramonto. Gli operai sono contenti: la cena, quella sera, sarà allegra. Succede però qualcosa di strano: a più riprese, arrivano altri operai. Il padrone è generoso, ha visto altri operai rimanere disoccupati e li ha mandati tutti a lavorare nella sua vigna: c’è posto per tutti. La cosa strana, però, è che della gente arriva anche quando il sole volge al tramonto; sono gli operai dell’undicesima ora, lavoreranno un’ora soltanto. Meglio di niente, avranno pensato.
La sorpresa arriva al momento della paga: i primi a ricevere il salario sono proprio loro, gli ultimi arrivati, e ricevono una moneta d’argento, come se avessero lavorato l’intera giornata. “Bene –pensano i primi- noi riceveremo di più”. Ma non è così: anche loro ricevono la paga concordata, un denaro d’argento. C’è chi brontola; è bello riportare alla lettera il dialogo tra il padrone e uno degli scontenti: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e tu li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”(Mt 20).
E’ facile riconoscere l’intenzione di Gesù, nel raccontare questa parabola. I primi, sono gli osservanti della Legge, che si sono impegnati nel bene, ma che considerano la ricompensa un diritto. Dall’altra parte, ci sono quelli che non passano l’esame dei giusti, ma che si son sentiti toccare il cuore dal messaggio del Maestro, che parla di un Dio che è padre di tutti e che “ vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4). Il motivo dello scandalo dei tutori della Legge è esplicito: “Li hai trattati come noi!”, non hai rispettato le gerarchie, che in ultima analisi risalgono a Te. E’ molto interessante questo uso della parola di Dio contro Dio. San Paolo dedicherà gran parte della Lettera ai Romani proprio a questo atteggiamento, dell’uomo che si ritiene giusto davanti a Dio, per una giustizia che ha costruito con le sue opere.
La difesa del padrone della vigna è bruciante. Egli si richiama al contratto stipulato: “Quello che avevamo convenuto, io te l’ho dato”, e congeda l’insoddisfatto in modo piuttosto secco: “Prendi il tuo e vattene!”. Ma, mentre l’operaio se ne va, immaginiamo con la coda tra le gambe, il signore gli lancia una parola, che vuole trafiggerlo, vuole penetrare nella sua corazza e costringerlo a rivedere se stesso: “Tu sei invidioso perché io sono buono?”. San Paolo, facendo l’elenco dei vizi dei pagani, dice di loro che sono “senza cuore, senza misericordia” (Rm 1,31). Qui sta il punto, la perenne validità di questa narrazione di Gesù e la conseguenza fortissima nella concretezza dell’oggi.
Per i lavoratori egoisti, la sofferenza dei loro colleghi disoccupati non conta; non contano gli sguardi delusi dei bambini, l’angoscia delle mogli per il futuro. Non pensano che un giorno potrebbe toccare anche a loro. Oggi, sembra che la misericordia verso il povero sia debolezza e che una cosa siano le parole di circostanza pronunziate nelle sacrestie o in piazza San Pietro. Parafrasando Andrè Malraux, potremmo dire che non si fa politica con la misericordia, ma nemmeno senza.
24 settembre 2023 don Giuseppe Dossetti