“RISURREZIONE E PACE” – 98^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus – don Giuseppe


Non è ancora finito il flagello della pandemia, che ne inizia uno nuovo, la guerra in Ucraina. La strada indicata da Papa Francesco e dai nostri vescovi è quella della preghiera e del digiuno. Ci si può chiedere se sia sufficiente o se non sia un’espressione convenzionale per non affrontare il problema. Il mio parere è che si tratti di una strada necessaria. Preghiera e penitenza giovano anzitutto a noi, che abbiamo bisogno di purificare il nostro sguardo. Gesù lo dice nel vangelo di questa domenica: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Lc 6,41s.). Qualcuno penserà che, nello specifico, la trave si trovi nell’occhio altrui e che nel nostro ci sia al massimo una pagliuzza, tutto sommato trascurabile. Il punto, però, non è questo. E’ necessario rivolgere lo sguardo a noi stessi, grande o piccola sia la nostra responsabilità. Abbiamo bisogno di occhi nuovi, che vedano in questi flagelli un invito alla conversione, al cambiamento di mentalità, all’onestà con noi stessi.

Non è onesto dipingere l’avversario come un mostro e alzare il tono delle parole, parlando solo di guerra, di forniture militari, di sanzioni. Qualcuno dovrà parlare di pace, e farlo subito, perché ogni giorno che passa e ogni persona che muore diventano un ostacolo sempre più alto alla ricostruzione. La pace si fa con il nemico e, nel caso della Russia, cercando di capirne le ragioni e di conoscerne la storia. senza trascurare le responsabilità proprie. Ha detto il card. Zuppi: “Possiamo chiedere la pace solo disarmando il nostro cuore e domandando che ogni desiderio di violenza e guerra sia vinto”.

Solo la purificazione dello sguardo e del cuore permetterà un cammino di riconciliazione, degli ucraini e dei russi, ma anche tra Occidente e Russia.

In questo quadro, è molto importante il ruolo delle Chiese. L’Ucraina è la frontiera tra la Chiesa occidentale, latina, e quella ortodossa, bizantina. In più, nelle province occidentali, si colloca la Chiesa greco-cattolica, di rito bizantino ma unita a Roma. Purtroppo, le divisioni non si fermano qui: i fedeli ortodossi appartengono in parte all’obbedienza al Patriarcato di Mosca e in parte al Patriarcato di Kiev, ripristinato, tra molti contrasti, dopo l’indipendenza dell’Ucraina dall’Unione Sovietica nel 1991. La divisione tra le Chiese è servita ad alimentare il senso di separazione; la loro conversione a una volontà di unione sarebbe sommamente utile per comprendere il punto di vista dell’altro e per ritrovare un linguaggio comune.

Da ultimo, cerchiamo di liberarci dalla retorica. Dovremmo rileggere il libro biblico del Qoélet (o Ecclesiaste): “Vi è una sorte unica per tutti, per il giusto e per il malvagio … e per di più il cuore degli uomini è pieno di male e la stoltezza dimora in loro mentre sono in vita. Poi se ne vanno fra i morti. Certo, finché si resta uniti alla società dei viventi, c’è speranza: meglio un cane vivo che un leone morto. I vivi sanno che devono morire, ma i morti non sanno nulla; non c’è più salario per loro, è svanito il loro ricordo. Il loro amore, il loro odio e la loro invidia, tutto è ormai finito, non avranno più alcuna parte in tutto ciò che accade sotto il sole” (9,2-6). Di fronte a questa verità, vale la pena legare il proprio nome a violenza, sopruso, avidità di denaro e di potere?

Noi cristiani crediamo nella risurrezione. La morte non è l’ultima parola, né per l’eternità né per la nostra vicenda mondana. Il nome della risurrezione, nella nostra storia, è riconciliazione e pace. Il nostro Dio è il Dio della pace (1Tess 5,23). La guerra è la più grande bestemmia del Suo nome. Per questo, è necessaria la “conversione”: essa consiste anzitutto nel riconoscere che la radice del male è nel cuore dell’uomo, quindi anche del nostro. Poi, credere ostinatamente che Dio parla al cuore dell’uomo, di ogni uomo, e che quindi la riconciliazione è possibile.

27 febbraio 2022                                                               don Giuseppe Dossetti