“QUALE CIELO?”


195^ lettera alla comunità al tempo della conversione

La Chiesa festeggia oggi l’”Ascensione di Gesù al cielo”. Il simbolismo non è difficile da interpretare, e ci pone una domanda; che cosa c’è nel tuo cielo?

Il cielo è la dimensione verticale dell’esistenza umana; esso ospita i valori che orientano la vita, le speranze e anche le illusioni. L’altra dimensione, quella orizzontale, è la “terra”. Cielo e terra dovrebbero essere ugualmente presenti nella nostra vita. Vivere soltanto in cielo sarebbe nascondersi nelle illusioni; ma più pericoloso è il non avere un cielo. In tal caso, infatti, la terra si popola di mostri, seguaci di un’illusione mortale e mortifera, la ricerca del potere, dell’”io” sciolto da ogni limite a un trionfante egoismo, come del resto vediamo nel nostro tempo.

In realtà, il limite ci sarebbe, la morte: ma non vi si pensa e si fugge, nella ricerca compulsiva di surrogati dell’immortalità.

L’”Ascensione di Gesù al cielo” vuole indicare un’altra via, che è di scandalo per chi ragiona con i metri di questo mondo. Infatti, essa è il prolungamento, necessario e universale, del centro del messaggio cristiano, cioè la Risurrezione. Proviamo a ragionare a partire da essa: del resto, anche la fisica di Einstein apparve assurda, salvo poi constatare che essa dava una miglior spiegazione alla comprensione dell’universo.

Il cielo rappresenta, nell’Antico Testamento, la barriera tra Dio e l’uomo: “Se Tu squarciassi i cieli e scendessi!”, è l’invocazione del profeta Isaia (63,19). Essa viene esaudita nell’umiltà del Natale, grazie al libero assenso di una donna, Maria di Nazaret. Nel suo slancio trascinante, nel ritorno al Padre, Gesù apre il varco tra Dio e la sua creatura: è lo slancio del re, che sale al trono di gloria, e, nello stesso tempo, del Sommo Sacerdote che reca in mano non il sangue di capri e vitelli, ma il suo proprio sangue (agli Ebrei 9,12). Dobbiamo aver presente la dimensione sociale dell’Ascensione: tutto il mondo, non solo la Chiesa, è coinvolto in questo slancio, che affiora alla coscienza di ogni uomo, né viene mai soffocato completamente dalla malvagità e dalla debolezza. Chi si lascia trascinare nell’ascesa, diviene cittadino della nuova Gerusalemme: “La nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3,20). Paolo sottolinea la doppia cittadinanza del discepolo, già ora cittadino della patria celeste, ma tuttora anelante alla piena libertà, cittadino sofferente della città terrena, alla quale egli appartiene, nella tribolazione.

E’ bello essere liberati dagli idoli del mondo: si aprono spazi alla solidarietà, all’amore, alla pace. Le sofferenze diventano le doglie di un parto, come dice il Cristo nel vangelo di Giovanni (16,21); e aggiunge “La vostra tristezza si cambierà in gioia … Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia”. Anche la morte perde il suo potere di distruzione: diviene un addormentarsi nelle braccia del Buon Pastore.

La libertà del cristiano nasce dall’appartenenza, fin da ora, a una patria che non è di questo mondo, anche se il cristiano deve amare il luogo dove la volontà del Re lo ha collocato. Da quel servizio, generoso e fedele, deriva la serenità, “pace che il mondo irride/ ma che rapir non può” (Manzoni, La Pentecoste).

Papa Francesco ha indetto il Giubileo del 2025, che avrà come tema la speranza. Si tratta di una parola difficile. Tuttavia, la possono pronunciare i seguaci di un re crocifisso. Chiediamo la grazia di amare il mistero che ci circonda, di desiderare il Regno, al quale sono ammessi i poveri, gli affamati di giustizia, i misericordiosi. Riscopriamoci pellegrini, meno aggrappati ai beni del mondo, più consapevoli della nostra e altrui dignità di figli di Dio.

12 maggio 2024                                                                                        don Giuseppe Dossetti