155^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus, della guerra,
del terremoto e dell’alluvione. Don Giuseppe
La Chiesa festeggia oggi la Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua. Lo Spirito discende in forma di fuoco e i discepoli di Gesù vengono “gettati” nel mondo. E’ proprio il caso di usare questa parola, per indicare la forza irresistibile di un mandato che risuona nei secoli: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, io mando voi … Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati” (Gv 20,21-23). La storia viene interpretata come un grande conflitto, tra lo Spirito e la “carne”. Questo conflitto è nel cuore dell’uomo, di ogni uomo, nel suo “centro”: carne è l’uomo peccatore, che vuole, come Adamo, essere il dio di se stesso, ma in realtà genera separazione, guerra, morte: “Sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie,inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere”(ai Galati 5,19-21). La Chiesa stessa vive nel suo seno questo conflitto e i cedimenti alla “carne”: eppure, essa attinge a una fonte di rinnovamento e di purificazione, sempre aperta, per lei e per ogni uomo.
La guerra è lo sgorgo ultimo di un male che è dentro all’uomo. L’opera dello Spirito è invece l’unità e la pace: “Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (v.23). La carne non tollera la diversità, non sa concepire l’unità se non come uniformità, assoggettamento a un unico modello. L’unità dello Spirito, invece, sa accogliere le differenze come un dono. Ha detto il card. Zuppi: “L’unità è pensarsi insieme, a tutti i costi: non uguali, anzi, se siamo uniti siamo ancora più diversi, perché possiamo finalmente essere noi stessi, in relazione gli uni agli altri”.
Tutto è collegato: Spirito, pace, libertà. Non ci può essere pace se non nella libertà, altrimenti si tratta solo di forme più o meno raffinate di controllo e oppressione. La libertà è donata: “Dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà” (2Cor 3,17). Proprio perché è “lo Spirito del Signore”, cioè di Gesù, non si deve temere che essa diventi licenza, sfogo di presunzione e di orgoglio: “Voi, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non diventi però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece al servizio gli uni degli altri” (Gal 5,13).
San Paolo insiste sulla sottomissione reciproca, come strumento per sciogliere i conflitti all’interno della comunità cristiana: “Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri” (Ef 5,21). Il “timore di Cristo” consiste nel riferirsi continuamente al suo modello: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: … egli svuotò se stesso, assumendo una condizione di servo … facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,5-8). Liberamente al servizio: questo è il segno dello Spirito.
Il timore di Cristo è uno dei sette doni dello Spirito santo, secondo il catechismo. Vorrei richiamarne un altro, la “pietà”. Non è facile tradurre il latino pietas: potremmo definirla la caratteristica di un cuore buono, capace di commuoversi. Uno dei difetti peggiori che Paolo rimprovera ai pagani è di essere “senza cuore,senza misericordia” (Rm 1,31). Le grandi ideologie mortifere del secolo scorso tessevano l’elogio della spietatezza: in effetti, se ci si commuove di fronte alla sofferenza dell’uomo, non si può fare la guerra. Anche oggi, sembra che essere “pietosi” sia di ostacolo al successo. Ma quale successo? Lo vediamo in Ucraina. Invece, in Romagna e in altri luoghi di sofferenza vediamo l’efficacia della solidarietà. E’ importante, però, rivolgere lo sguardo e commuoversi anche di fronte alla sofferenza di un Dio crocifisso. Lo sguardo ci viene restituito, con indicibile consolazione e conforto al coraggio.
28 maggio 2023 don Giuseppe Dossetti