NOI, POVERI – 34^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus


Questa domenica ricorre la quarta Giornata Mondiale dei Poveri. Essa venne istituita da Papa Francesco, per evitare che i poveri diventino delle “ombre”, come dice nel suo messaggio di quest’anno. Tuttavia, non è che questa iniziativa del Papa abbia riscosso grandi adesioni. Forse, questo è dovuto al fatto che siamo diventati più poveri anche noi, a causa della pandemia. Ho già detto che non è male che ci venga ricordato il nostro limite: forse, potremmo diventare meno presuntuosi, meno persuasi di essere dominatori e padroni del mondo. Potremmo riconoscere di essere anche noi dei bisognosi.

              Per questo, dovremmo avere un pensiero particolare per chi si occupa di noi, per chi viene in aiuto alla nostra povertà. Anzitutto, dobbiamo ringraziare il personale sanitario: quanta generosità e anche quanta sofferenza! Oltre al rischio proprio e agli orari massacranti, gli viene richiesto di accogliere il dolore e le paure, di avere una parola, un’attenzione per i loro malati, rinchiusi nella “bolla” della solitudine; di avere pazienza e delicatezza con i parenti, esclusi dall’affetto dei loro cari.

              Dobbiamo però ringraziare anche chi ci governa: anche loro vivono una solitudine, aggravata dal dubbio di stare facendo le cose giuste. E ringraziamo quanti cercano di tenere unite le comunità, di essere attenti a coloro che rischiano di scomparire dall’orizzonte.

              La Chiesa legge in questa domenica la parabola dei talenti. A tre servi vengono affidate le ricchezze del padrone, che deve partire per un lungo viaggio. Al suo ritorno, i primi due hanno raddoppiato il capitale, l’altro è stato pigro e indolente, lo ha nascosto in una buca, lo ha reso infruttifero. Ai due servi, che si sono dati da fare, il padrone dice: “Bene, servo buono e fedele: sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; entra nella gioia del tuo signore”. In realtà, un talento non è poca cosa, vale diverse decine di migliaia di euro; il vangelo, però, vuole sottolineare la gioia ancora più grande del Regno.

Che cosa sono, concretamente, i talenti che sono stati affidati a ciascuno di noi e che rappresentano la nostra ricchezza, anche se dovremo renderne conto? Propongo di vedere in questo capitale proprio i poveri. Qual è il pregio, la ricchezza che essi portano con sé? Non sembra forse che siano più un problema che una ricchezza? La ricchezza che essi portano ce la dice san Giacomo: “Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede?” (Gc 2,14).

Sono convinto, per esperienza personale, che i poveri custodiscano la nostra fede. Pur avendo essi tanti difetti, come del resto tutti noi, il Signore li ama di amore speciale e ricompensa chi li ama. Ecco perché bisogna accoglierli, perché un giorno siano loro ad accogliere noi: “Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9).Non è necessario fare grandi cose: “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,42). Il bicchiere d’acqua fresca può essere sostituito da una visita in ospedale, da una parola gentile, da un invito a pranzo, da un aiuto scolastico: tutti gesti che “rinfrescano”, che rendono il mondo un po’ migliore.

Non proteggiamo i nostri ragazzi dall’incontro con i poveri. Siamo giustamente preoccupati che conservino la fede: ecco, il Signore ci offre oggi il mezzo perché essi lo possano incontrare. “Tutto quello che farete a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avrete fatto a me”, ci dirà domenica prossima.

15 novembre 2020                                                                 don Giuseppe Dossetti