MARCHINO – 74^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus – don Giuseppe


Noi reggiani abbiamo una grande devozione per la Madonna della Ghiara e ci è caro lo splendido santuario, che custodisce l’affresco miracoloso: nella notte tra il 28 e il 29 aprile 1596, Marchino, un ragazzo sordomuto, che faceva il garzone di un macellaio, riacquistò favella e udito mentre pregava davanti all’immagine di Maria. Probabilmente, ci colpisce la tenerezza di questa storia, la predilezione materna di Maria per i piccoli, come è avvenuto in tutte le apparizioni riconosciute autentiche dalla Chiesa.

Nel caso di Reggio, la Madonna non dà messaggi; o, meglio, il messaggio è implicito nel miracolo. Non solo Marchino è sordo e muto, ma lo siamo anche noi. Non è scontato che noi siamo capaci di udire, di ascoltare. Sono tanti, coloro che ci rivolgono la parola. Alcuni vorrebbero raccontarci la loro storia e sentire attenzione da parte nostra. Altri, vorrebbero dirci parole buone, ma noi sfuggiamo, perché siamo abituati al deserto della nostra solitudine.

Non è scontato neanche che sappiamo parlare: lo percepiamo bene, quando incontriamo la sofferenza altrui.

La Vergine restituisce a Marchino udito e parola nella notte. Forse, è un segno anche questo, che ci esorta a sfuggire al diluvio di parole che ci inonda. C’è un deserto bello, un silenzio riempito da una presenza, dove avvertiamo vicino un Tu, che alcuni chiamano Dio e Padre, e altri vi riconoscono le tracce di un mistero che invita ad affidarsi.

Vorrei dare qualche suggerimento su come conquistare questo silenzio, anche se ciascuno deve trovare la propria via: nessuna delle indicazioni che seguono è valida per tutti, ma una certa esperienza personale mi induce a condividerle.

Il primo luogo del silenzio è il lavoro. Ho lavorato in una fabbrica per tredici anni. Il lavoro manuale era semplice e spesso automatico. La mente rimaneva sgombra e il dialogo con Gesù era facile, magari partendo dal ricordo di qualche riga del Vangelo. Certo, se il lavoro si svolge in un ufficio o in una scuola, questa strada non è proponibile.

Un tempo di silenzio è anche quello che viviamo in automobile, nei nostri spostamenti, a meno che non siamo gli autisti dei nostri figli. In tal caso, il silenzio è difficile, ma potremmo invitare i nostri passeggeri a dire qualche preghiera insieme.

C’è poi un orario favorevole per le casalinghe, l’ora tra le 14 e le 15. E’ sintomatico che le reti televisive scelgano questo orario per le soap opera, ritenendole interessanti soprattutto per un pubblico femminile. Spegnere la televisione permette di leggere il giornale e magari anche una pagina di vangelo.

Ciascuno , però, troverà il proprio modo di creare un po’ di silenzio, per ascoltare se stesso.

Questo ascolto nel silenzio è sommamente utile per riuscire ad ascoltare gli altri. Prendiamo l’esempio degli sposi tra loro e dei genitori con i propri figli.

In un tempo di disorientamento, come il nostro, la cosa più bella che ci possa capitare è trovare qualcuno che ci incoraggi. Già il solo fatto che qualcuno sia disponibile ad ascoltare le nostre storie, i desideri, le paure, ci fa sentire importanti almeno per qualcuno. Se poi, oltre a questo gesto di attenzione, ci vien detta qualche buona parola, sentiamo che su di noi c’è uno sguardo di fiducia. Questo è vero soprattutto della donna nei confronti dell’uomo. Maria ha fatto questo nei confronti di suo figlio, standogli vicino persino accanto alla croce. Ella continua la missione affidatale da Gesù: “Donna, ecco tuo figlio!”, le ha detto, indicando Giovanni e in lui tutti noi. Per questo, la Chiesa le rivolge queste stupende parole: “Segno di consolazione e di sicura speranza”.

Da ultimo, notiamo che Maria sceglie come interlocutori dei poveri. Non si tratta soltanto di tenerezza materna, ma questo suo atteggiamento prolunga quello di Dio, secondo l’apostolo Giacomo: “Dio ha scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano” (Gc 2,5). Non è che i poveri siano migliori dei ricchi: anch’essi hanno i difetti comuni a tutti gli uomini, magari più evidenti perché hanno meno maschere. Ma Dio li ha scelti, proprio perché poveri, e Lui è il Misericordioso. Se noi parliamo con un povero (qualunque sia la natura di questa povertà), ci accorgiamo che le sue parole non sono vuote, ci rendono pensosi e forse anche più buoni.

05 settembre 2021                                                             don Giuseppe Dossetti