Un giorno, due discepoli di Gesù, Giacomo e Giovanni, gli chiesero di riservare loro un posto eminente nel suo futuro regno. Questa richiesta suscitò lo sdegno invidioso degli altri e Gesù li ammonì con parole severe: “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore” (Mc 10,42s.). Sembrerebbe un meschino episodio di carrierismo, al quale si contrappone la nobile parola di Gesù, che orienta chi detiene un potere a usarlo per il servizio ai suoi sudditi.
E’ certamente da lodare chi si spende per il servizio del prossimo, ma nelle parole di Gesù c’è molto altro. Infatti, egli continua: “Anche il Figlio dell’Uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.
La parola che traduciamo con “riscatto” è molto forte. Essa veniva usata in ambito cultuale e sacrificale: potrebbe essere tradotta anche con “espiazione”. Una vittima innocente subisce la morte che sarebbe invece la giusta punizione per il malvagio.
Veniamo riportati a una domanda quanto mai attuale, anche se difficilmente diventa esplicita. Essa però rimane come una spina nella coscienza dell’uomo: è la domanda sul male, sul suo senso e sulla possibilità di guarirlo. Spesso, noi scegliamo di ignorarlo, come se ne rifiutassimo la responsabilità e pensassimo che il mondo possa ricominciare con noi. Ma si tratta di una menzogna e lo sappiamo bene. Basta leggere un libro di storia, o i giornali, per rendersene conto: la guerra, le sue conseguenze orribili, come i genocidi, la Shoah, le ideologie che hanno causato decine di milioni di morti, il colonialismo, lo sfruttamento, la schiavitù; e ora le migrazioni, di fronte alle quali cerchiamo di non vedere di quanta cattiveria, viltà e egoismo sia capace l’uomo.
La cosa più terribile è, che siamo ben consapevoli che il male comunque rimane. Esso diventa un capo d’accusa contro Dio, ma anche contro l’uomo. Qualcuno pensa che i malvagi siano gli altri, ma non possiamo sottrarci all’angoscioso pensiero che, in qualche modo, anche ciascuno di noi è o può essere, almeno per una parte, complice.
Il male, lo sappiamo, non può essere cancellato. Immaginare di risarcirlo, punendo i responsabili, ci appare ben presto come il modo per continuare una storia di sangue, non per terminarla. Non può neppure essere compensato da azioni virtuose e dalla lotta per la giustizia. Certo, questo sarebbe molto buono ed è un dovere, per ciascuno di noi, impegnarsi su questa strada. Ma tutto il bene del mondo non può riportare in equilibrio la bilancia: plaudiamo ai coraggiosi, ai giusti, ai cercatori della giustizia, ma il male rimane. Non possiamo dire all’uomo, che ha perso il suo bimbo affogato alle frontiere d’Europa, che però in qualche lontano paese è stato aperto un ospedale che salva altri bambini.
Nella tradizione ebraica e cristiana, c’è solo un modo per togliere al male la sua virulenza: la sostituzione dell’innocente al malvagio. In un testo impressionante del profeta Isaia, scritto cinquecento anni prima di Gesù, viene presentato il Servo innocente e si dice: “Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” (Is 53,5). Il tema ritorna, dopo più di duemila anni, nella leggenda dei Lamed Vav. Questo termine significa “trentasei”: “Secondo la nostra tradizione, il mondo poggerebbe su trentasei giusti chiamati i Lamed Vav. Nulla distingue questi Lamed Vav dagli altri uomini. Sovente non si conoscono nemmeno tra di loro. Ma se mai venisse a mancarne uno solo, la sofferenza degli uomini avvelenerebbe persino il cuore dei bambini, e l’umanità intera soffocherebbe in un grido. Infatti i Lamed Vav sono il cuore moltiplicato del mondo, e in loro confluiscono tutti i nostri dolori, come in un ricettacolo. Quando un giusto, un Lamed Vav, sale al cielo, è tanto ghiacciato che Dio deve scaldarlo mille anni tra le sue dita prima che la sua anima possa aprirsi al paradiso. E si sa che molti di loro rimangono per sempre inconsolabili per il dolore umano, tanto che nemmeno Dio riesce a scaldarli. Allora, di tanto in tanto, il Creatore sposta avanti di un’ora l’orologio del giudizio universale”: così dice il rabbi Nachman di Bratslav. Secondo i rabbi, nessun Lamed Vav sa di esserlo, quindi ogni ebreo potrebbe essere un Lamed Vav; dunque, egli è tenuto a comportarsi come se lo fosse.
Per noi cristiani, i Trentasei si concentrano nell’Uno, che è appunto “il cuore moltiplicato del mondo”. Egli assorbe in sé, nel suo dolore, ogni lacrima; benedice ogni sforzo, anche minimo, sulla via della giustizia; offre, a chi è gravato dal rimorso della colpa, una parola di perdono, che lo avvii a un cammino di penitenza e di riconciliazione.
17 ottobre 2021 don Giuseppe Dossetti