“L’APOCALISSE” – 113^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus e della guerra – don Giuseppe


E’ molto di moda, nell’attuale situazione e in certi ambienti, far riferimento al libro dell’Apocalisse, come se contenesse, “sotto il velame delli versi strani” (Inferno 9,63), la storia presente e futura. Di qui, la ricerca di corrispondenze, come quando il drago rosso del capitolo 12 veniva interpretato come simbolo del comunismo. L’autore è un grande visionario, un artista che ha ispirato altri artisti, come Duerer, nelle sue incisioni. Il suo intento, però, non è certamente quello di pasturare curiosità spesso malsane, bensì egli intende dichiarare la ragione profonda del male e suggerire il rimedio.

              Come per i grandi profeti dell’Antico Testamento, il suo messaggio è condizionato: tutto questo avverrà, se non vi convertite. A questo punto, immagino la reazione di molti, che potrebbero vedere in queste parole un residuo magico, che non tiene presenti i progressi della ragione. Ad essa si fa appello per parlare di tutto: di strategie militari, di prospettive economiche. Lucidissime analisi vengono formulate e consegnate alla politica e alla diplomazia. Rimane però un certo pessimismo, come se tutto questo mancasse di un fondamento.

              Ora, l’Apocalisse, seguendo in questo la tradizione ebraica, vede l’origine dei mali nell’idolatria. Sta scritto nel libro della Sapienza (14,27): “L’adorazione di idoli innominabili è principio, causa e culmine di ogni male”. I flagelli descritti dalla visione di Giovanni vorrebbero rendere consapevoli gli uomini e suggerire loro, appunto, la conversione. Tuttavia, questo, per la maggioranza, non accade: l’umanità “non si convertì dalle opere delle sue mani: non cessò di prestare culto ai demoni e agli idoli d’oro, di argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare” (Ap 9,20). Con altri nomi e altre immagini, è facile riconoscere i nostri idoli attuali.

              E’ molto interessante l’affermazione, che dietro al culto degli idoli si nasconde il soggiacere a un potere demoniaco, che ha come scopo la morte dell’uomo. Anche a tal proposito penso che molti vi vedranno un residuo di pensiero mitologico: suggerisco però di tener presente la sensazione di pessimismo e di impotenza, che serpeggia, quasi che ci fosse un potere più forte, che renda vani anche le intenzioni e gli sforzi più nobili.

              Consideriamo anche le conseguenze dell’idolatria, secondo l’Apocalisse: l’umanità idolatra “non si convertì dagli omicidi, né dalle stregonerie, né dalla prostituzione, né dalle ruberie” (9,21). Questa è la situazione che stiamo vivendo. La guerra è la forma generalizzata di omicidio; le stregonerie comprendono anche le attuali forme raffinate di seduzione. Il disordine sessuale è sotto gli occhi di tutti e le ruberie più sfacciate sono le speculazioni e lo sfruttamento.

              Pensare di risolvere un problema, per esempio la guerra o la pandemia, senza operare una seria conversione, mi sembra irrealistico. La pace resterà un’illusione, un eufemismo per evitare di dire che in realtà si tratta di un intermezzo, in attesa della prossima guerra, o di una guerra che continua, “a bassa intensità”. Fra l’altro, il guaio è proprio questo, che si continua a considerare la guerra come uno strumento possibile, “per continuare la politica con altri mezzi”, come diceva Clausewitz, quando la guerra era ancora un’altra cosa.

              Un piccolo esercizio di conversione potrebbe essere questo: fare qualcosa che rinviamo, perché ci costa sacrificio o perché ferisce il nostro orgoglio. Piccoli atti del genere ricostruiscono un tessuto di relazioni che è già un’esperienza di pace.

              Rispetto all’Antico Testamento, l’Apocalisse ha in più una ragione di speranza. La storia è in mano all’Agnello (cap. 5, il “piccolo libro”), agnello immolato, sacrificio dell’innocente. Alla sua vittoria, partecipano gli agnelli, che come lui, hanno dato la vita per seguire il Maestro (12,11). Il sangue dell’Agnello e degli agnelli ci renda pensosi e disposti a rischiare per la riconciliazione piuttosto che per a vittoria.

26 giugno 2022                                                                    don Giuseppe  Dossetti