191^ lettera alla comunità al tempo della conversione
“Ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua. Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli”. Sento come mie le parole di un ebreo, Saulo di Tarso, divenuto san Paolo, dopo l’incontro con il Risorto sulla via di Damasco (Rm 9,2-5). Egli fa un elenco insistito dei debiti che, non solo la Chiesa, ma l’umanità intera ha nei confronti del popolo di Israele. L’adozione a figli, la gloria, le alleanze descrivono un concetto unico: Israele ha accolto e rappresenta la radice dell’umanità, che non è tale per la religione soltanto, ma per la cultura e addirittura per il concetto che l’uomo può avere di se stesso.
Uso di proposito la parola “radice”, perché è quella con la quale san Paolo descrive il rapporto dell’umanità con Israele. Egli rimprovera con molta severità quei cristiani provenienti dal paganesimo, che disprezzano gli ebrei, prolungando la tradizione antisemita del mondo antico. Paolo li ammonisce : “Se ti vanti, ricordati che non sei tu che porti la radice, ma è la radice che porta te”(Rm 11,18). L’ebreo è il custode della radice, anche se magari si proclama ateo; egli porta nel suo nome tutta la storia millenaria del suo popolo, che inizia quando Dio rivolge la sua parola ad Abramo (Genesi 12,1). Nasce allora un rapporto (l’alleanza), irreversibile e generativo (l’adozione a figli), che comporta la comunione di vita tra l’uomo e Dio (la gloria). L’ebreo potrà sbagliare, commettere atti riprovevoli, come Davide, soffrire persecuzioni e persino subire il tentativo di cancellarlo dall’esistenza (non solo lo è stato la Shoah, ma ricordiamo ad esempio la storia di Ester), ma non conoscerà l’angoscia dell’insignificanza, del nulla, del vuoto di una strada che non conduce da nessuna parte.
Per questo, quello che sta accadendo a Gaza è terribile, perché questa volta l’identità ebraica è messa in discussione da degli ebrei. Grazie a Dio, c’è chi resiste. Come conciliare la negazione del diritto di un altro popolo con la promessa fatta ad Abramo: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3)? Il profeta Isaia riprenderà la parola rivolta al progenitore: “La mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli” (56,7). Gesù farà sua questa parola (Mc 11,17), e pregando i Salmi avrà certamente recitato il salmo 87: “ Ricorderò Raab (l’Egitto) e Babilonia fra quelli che mi conoscono; ecco, Palestina, Tiro ed Etiopia: tutti là sono nati. Si dirà di Sion: “L`uno e l`altro è nato in essa e l`Altissimo la tiene salda”. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: “Là costui è nato”. E danzando canteranno: Sono in te tutte le mie sorgenti”.
Non basta allora invocare la cessazione delle violenze; non basta neppure la pur doverosa richiesta ai responsabili di aver pietà dei popoli a loro affidati. E’ giusto chiedere che si spezzi la catena dell’odio e delle vendette. E’ doveroso, ma purtroppo non è scontato, affermare fortemente il diritto all’esistenza dello stato di Israele e, accanto a lui, di uno stato palestinese. Tutto questo può e deve essere affermato e ricercato anche per la guerra tra Russia e Ucraina. Ma qui bisogna andare oltre o, se vogliamo, più in profondità: dobbiamo chiedere a Israele di essere se stesso, di adempiere anche oggi alla missione che gli è stata affidata. Dobbiamo compiere atti di pace e di amicizia, per smentire la convinzione proclamata dai sionisti radicali, che cioè Israele può contare solo su se stesso.
Una buona opera può essere la rilettura della Dichiarazione “Nostra Aetate” del Concilio Vaticano II (28 ottobre 1965). Respingendo ogni forma di antisemitismo, il Concilio ci ha ricordato che “i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29).
07 aprile 2024 don Giuseppe Dossetti