“LA PREGHIERA COME ATTO POLITICO” – 123^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus e della guerra – don Giuseppe


Un doloroso disorientamento ha colpito un po’ tutti: prima è venuta la pandemia, poi si è aggiunta la guerra. Facciamo fatica a dare un senso a questi flagelli. Non mancano le analisi e le spiegazioni, ma io avverto in me e in tanti la sensazione di essere trascinati da un gorgo inarrestabile, che ci sta portando non si sa dove. In altri tempi, la precarietà delle cose umane portava a dire, con Lorenzo, il Magnifico signore di Firenze, “chi vuol esser lieto, sia; del diman non c’è certezza”, cioè: goditi la vita fin che puoi, accettando il limite di ogni umana realtà. Oggi, invece, in ogni impresa o divertimento, avvertiamo un sapore amaro, un’ ombra che ci segue.

              Una conseguenza di questo clima è il ripiegamento su se stessi, cosicchè il nostro orizzonte si restringe e gli altri uomini rischiano di diventare trasparenti, invisibili al nostro sguardo. Un esempio ci viene dal Vangelo, quando Gesù racconta la parabola del “ricco epulone”, di un signore che banchetta splendidamente e non si accorge del povero Lazzaro, che sta accovacciato alla porta (Lc 16,19-31). Anche noi rischiamo di non accorgerci dei  tanti poveri Lazzari, che sono tra noi, forse perché ci fa troppo male lo spettacolo della loro povertà e il sentimento di pericolo che essa suscita in noi.

              Nella parabola, per la legge del contrappasso, dopo la morte, le sorti dei due personaggi si invertono: il ricco è all’inferno e vorrebbe che il padre Abramo risuscitasse Lazzaro e lo mandasse ad ammonire i suoi fratelli, per salvarli dal tormento futuro. La risposta di Abramo è netta: “ Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro. Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”.

              “Mosè e i profeti” sono concretamente le sacre Scritture. Certamente, esse contengono utili consigli per ben vivere. Tuttavia, credo che il padre Abramo avesse in mente qualcosa d’altro, un pensiero fondamentale, che ispira Israele e che Gesù riprende, portandolo alle sue ultime conseguenze. Questo pensiero è il concetto di “alleanza”, cioè di un rapporto definitivo e intimo tra Dio e il suo popolo, rapporto che neppure le infedeltà di Israele possono sopprimere. In nome di questa alleanza, Israele sa che c’è un pensiero buono, che guida amorosamente la storia, e una parola che chiede di essere accolta con fiducia, perché indica la via della conversione e di una vita nuova. Gesù aggiunge una parola, una sola, che però porta a pienezza l’alleanza, ed è la parola “Padre”.

              Se ci lasciamo guidare da questo pensiero, il tempo che stiamo vivendo, pur così difficile, acquista un senso e può essere interpretato con speranza.

              Anzitutto, le Scritture affermano la signoria di Dio sulla storia. Pur rispettando la libertà dell’uomo e persino le sue scelte miserabili e violente, Dio non abbandona la sua creatura e offre continuamente un nuovo inizio. Per questo, l’atto politico più importante, al quale tutti sono chiamati, è la conversione.

              Fermiamoci un attimo su questa parola. Essa richiede prima di tutto l’umiltà. Umiltà è ammettere di essere responsabili di questi flagelli e riconoscere anche l’impotenza dei criteri abituali con i quali affrontiamo le crisi. Che cosa fare, allora? Dobbiamo anzitutto reagire alla rassegnazione. La nostra presunzione ci porta a pensare che non ci siano soluzioni, se non proseguire sulla via che abbiamo percorso finora: più bombe, più denaro, più egoismo. Dio non ci rivela una via alternativa preconfezionata: questo significherebbe ancora una volta trattarlo come un idolo, da asservire alle nostre necessità. La conversione è invece consegnarsi giorno per giorno a quanto Egli ci dice oggi.

              Dobbiamo essere profondamente convinti che la soluzione c’è e che noi non la vediamo solo perché siamo ciechi. Ecco perché sono importanti le sacre Scritture: “Lampada per i miei passi è la tua parola, Signore” (Salmo 119,105). La preghiera, fatta di ascolto e supplica, è l’atto politico più importante a nostra disposizione: “ Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tim 2,1-3).

25 settembre 2022                                                           don Giuseppe Dossetti