“LA PACE POSSIBILE”


172^ lettera alla comunità al tempo della conversione

“Si comprenda che il terrorismo e la guerra non portano ad alcuna soluzione, ma solo alla morte e alla sofferenza di tanti innocenti. La guerra è una sconfitta, ogni guerra è una sconfitta”. Questo ha detto Papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa, quando scorrevano le immagini dell’attacco terroristico di Hamas e incominciava la reazione di Israele, che, mentre sto scrivendo, sta raggiungendo livelli intollerabili. Eppure, noi, “nonostante tutto”, come ha detto il Patriarca di Gerusalemme, dobbiamo credere che la pace sia possibile, sia ancora possibile.

Mi sento di aggiungere due considerazioni. Anzitutto, ricordo quello che Papa Benedetto XV cercò di trasmettere, al mondo di allora, travolto dalla Grande Guerra. Ai capi delle nazioni, nel 1917, rivolgeva l’invito a por fine all’”inutile strage”. Questa parola, “inutile”, fu duramente criticata da chi pensava di ristabilire il diritto con la forza. Ma già due anni prima il Papa aveva spiegato, con parole profetiche: “Non si dica che l’immane conflitto non può comporsi senza la violenza delle armi. Depongasi il mutuo proposito di distruzione; riflettasi che le Nazioni non muoiono: umiliate ed oppresse, portano frementi il giogo loro imposto, preparando la riscossa e trasmettendo di generazione in generazione un triste retaggio di odio e di vendetta”. La guerra, che insanguina la Terrasanta, è la dimostrazione più evidente di quanto profeticamente detto da Giacomo Della Chiesa un secolo fa. E’ una tragica illusione, pensare di raggiungere la pace con la guerra: si può soltanto determinare una spirale di vendette sempre più crudeli. Questo vale anche per il conflitto in Ucraina, dove ambedue le parti dichiarano che la pace ci sarà come conseguenza della vittoria. Quale vittoria? Proprio in questi giorni, mi è arrivata la notizia della morte a Bakhmut di Daniil, un ragazzo di ventun anni, che aveva frequentato la scuola, che avevamo fondata e tuttora sosteniamo a Zhitomir: figlio unico, oltretutto.

La seconda considerazione, anche se apparentemente illusoria, è che ciascuno di noi può e deve fare qualcosa per la pace. Anzitutto, dobbiamo contrastare la demonizzazione dell’avversario. E’ vero che vengono compiute azioni atroci, ma chi le compie è pur sempre un uomo, non una belva. Le belve feroci si uccidono, gli uomini no. Non si dica che questo è impossibile. Rabin e Arafat erano nemici, avevano diretto azioni di guerra e sollevazioni popolari, con tanti morti, con tante crudeltà; eppure, si convinsero che col nemico era possibile trattare, perché la comune natura umana doveva prevalere sulle appartenenze di nazionalità, di storia, di memorie. Rabin venne ucciso due anni dopo quell’accordo, nel 1995: questo sangue è stato per molti, in Israele, non un segno di fallimento, ma di responsabilità.

Anche per questo, il Papa, il Patriarca e i nostri vescovi hanno invitato alla preghiera, martedì 17 prossimo. Pregare per tutti, anche per il nemico, è anzitutto un dovere, verso Colui che ha detto; “Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5). Sono parole difficili: probabilmente, falliremo ancora altre volte; ma l’importante è non stancarsi, rialzarsi sempre e fare opera di pace nel giardino di casa nostra, con chi incontriamo, con chi è diverso, ma nello stesso tempo uguale, uguale nella dignità, perché, per noi credenti, egli vale il sangue del Figlio di Dio.

Se qualcuno non riesce a condividere questa fede, ascolti la sua coscienza. Il suo operare per la pace sarà tanto più meritorio, perché espressione di una ricerca, dell’onestà verso se stesso.

 

15 ottobre 2023                                                                                 don Giuseppe Dossetti