“ Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; il tuo volto, Signore, io cerco”: così prega il salmo (27,8). Con ragione, i canoni della Chiesa vietano di rappresentare Dio, perché inevitabilmente gli si attribuiscono le fattezze e i simboli del potere, così che Egli entra in competizione con altri poteri e tutto diviene possibile, anche la guerra e l’omicidio in nome suo. Come soddisfare, allora, il desiderio, iscritto nel cuore di tanti uomini, di vedere il volto di Dio, l’ultimo desiderio di Mosè (Es 33,18-20)?
Un giorno, i discepoli di Gesù discutevano chi fosse il più grande. Egli, allora, prese un bambino e disse: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me, e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,36-37).
In molti altri luoghi, Gesù dice che il Regno dei Cieli è di chi è come un bambino. Questa preferenza non è fondata sulla presunta innocenza dei piccoli, bensì sulla loro condizione sociale: il bambino, nella società antica, era un soggetto senza diritti, dipendente per intero dai suoi genitori. Per questo, nel Vangelo, ci sono tanti altri preferiti: i poveri, i malati, coloro che piangono, coloro che non sono in grado di far valere i propri diritti. Le Beatitudini del Discorso della Montagna (Mt 5,1-12) ce ne forniscono un elenco.
I bambini, e tutti gli altri piccoli, sono i preferiti non per i loro meriti o le loro qualità, ma perché Dio e misericordioso, si lascia intenerire dalla loro povertà.
Tuttavia, fermarsi a questo, vorrebbe dire rimanere ancora nel mito di un potere assoluto, ancorchè compassionevole. Ne abbiamo esempi in tutte le religioni. Il Dio di Gesù va oltre.
Padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano che ha vissuto molti anni nella periferia atroce di Nairobi, in Kenya, racconta, in un’intervista raccolta da Stefano Lorenzetto: “Florence era una ragazza bellissima di Korogocho, prostituta a 11 anni, morta di Aids a 17, abbandonata anche dalla madre. Era in agonia. Accorsi di notte nella sua baracca. Non c’era luce, non la vedevo. Pregava così: “Mungu mi mama”, Dio è mamma. Allora le chiesi che volto avesse l’Altissimo. Restò in silenzio per cinque minuti. Alla fine, disse in un soffio: “Alex, sono io il volto di Dio””.
Gesù si è identificato con i poveri: “Tutto ciò che avete fatto al più piccolo di questi miei fratelli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Ma egli va oltre: “Chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”. Dio è nei poveri, lì egli rivela il suo volto.
Per questa ragione, la Chiesa ha bisogno dei poveri, più di quanto i poveri abbiano bisogno della Chiesa, della sua carità, dei suoi servizi. Una Chiesa lontana dai piccoli è una Chiesa senza Dio. Una Chiesa senza i poveri, non riuscirà a comprendere perché Dio abbia voluto rivelarsi in un crocifisso. Gesù rimarrà un maestro, come tanti; per qualcuno, uno dei tanti rivoluzionari sconfitti, un idealista, che i suoi successori interpreteranno secondo schemi meno paradossali di una croce. Ma, chiedo, come ci potrà essere perdono, come potrà esserci una riforma, un rinnovamento, se rifiutiamo che Dio abbia il volto del Crocifisso, dei crocifissi?
Mi chiedo anche: è sano, che i poveri siano considerati dei nemici, che metterebbero in pericolo la nostra felicità? La politica deve necessariamente ignorare il Vangelo? O non c’è forse proprio nel Vangelo l’ispirazione per una buona politica? Se noi continueremo a disputare e a competere, per stabilire chi è il più grande, come facevano i discepoli di Gesù, metteremo a rischio non solo la nostra salvezza ultraterrena, ma anche la vita del pianeta in cui viviamo.
Sono convinto che i poveri, i malati, i piccoli, gli ultimi, portino con sé una benedizione. Essa non dipende dai loro meriti o dalle loro qualità; anzi, spesso sono scomodi. Ma il Dio di Gesù ha voluto così. Se vogliamo trovare il suo volto, dobbiamo cercarlo là dove ci ha preceduto.
19 settembre 2021 don Giuseppe Dossetti