“IL TERREMOTO” – 142^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus, della guerra e del terremoto – don Giuseppe


Queste lettere sono nate quando iniziò l’epidemia del Covid-19, per mantenere un legame con persone conosciute e con chi volesse tenere viva una riflessione non superficiale su questo nostro tempo difficile. Un anno fa, all’epidemia si è aggiunta la guerra in Ucraina, un “pezzo” importante di quella terza guerra mondiale, della quale parla Papa Francesco. Da lunedì scorso, è intervenuto il terzo flagello, il terremoto devastante in Turchia e Siria. L’accumulo di tante sofferenze ci chiede una riflessione non banale, un confronto serio su quello che tali eventi dovrebbero dirci.

Appena avuto la notizia del terremoto, ho pensato ingenuamente: chissà che, di fronte allo spettacolo dei morti, delle macerie, del pianto di chi ha perso tutto e ora muore di freddo, – chissà che non ci si renda conto dell’inutilità della guerra; chissà che gli uomini, soprattutto i governanti, non pensino una buona volta alla loro fragilità, alla brevità di una vita, segnata dal provvisorio; chissà che non cambi la classifica dei valori e la pace non diventi più importante dell’affermazione dell’orgoglio e della ricerca del potere.

Non sembra che questo stia avvenendo. Come spiegare tanta insensibilità? Del resto, nulla c’è di nuovo. Mi viene in mente un passo dell’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia, una lettura fantastica del tempo che ci separa dal ritorno del Cristo: “Il resto dell’umanità, che non fu uccisa a causa di questi flagelli, non si convertì dalle opere delle sue mani; non cessò di prestare culto ai demoni e agli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; e non si convertì dagli omicidi, né dalle stregonerie, né dalla prostituzione, né dalle ruberie” (Ap 9,20 s.).

Viene data, anzitutto, una fotografia impressionante dei vizi del nostro tempo, che vengono chiamati con il loro nome, mentre spesso vengono rivestiti di nobili parole. La guerra è omicidio, e ruberia è anche il non pagare le tasse e lo sfruttare i lavoratori. Forse, è ruberia è anche il considerarsi proprietari e non amministratori di ciò che si possiede. Il disordine sessuale, con le sue conseguenze di violenza e di soggiogamento dei più deboli, è sotto gli occhi di tutti. Le stregonerie, sono le miriadi di manipolazioni, che tendono ad assoggettare l’uomo, le promesse fallaci di felicità.

In quello che dice l’Apocalisse, c’è però qualcosa di più importante, l’indicazione della radice di questi mali. Essa è l’idolatria, nelle sue diverse forme, da quelle più rozze, gli idoli “di legno”, a quelle auree, raffinate. E’ un tema che troviamo già nella letteratura dell’Antico Testamento, per esempio nel Libro della Sapienza (14,22-27). L’idolatria è in realtà l’adorazione di se stessi, l’eterno riproporsi della tentazione del Giardino dell’Eden: “Sarete come Dio”, perché stabilirete voi quello che è bene e quello che è male, vi affrancherete dalla tutela di un Dio geloso della vostra libertà.

L’alternativa è il “timor di Dio”: “Principio della sapienza è il timore del Signore”, dice il Salmo (111,10). Lo sappiamo: non si tratta della paura servile del castigo, bensì del rispetto, dell’ascolto fiducioso, all’interno di un rapporto di amore. La miglior definizione me la diede un bambino del catechismo, “Quando si ama, si teme una sola cosa: di far dispiacere alla persona che si ama”. Va aggiunto, però, che anche il Dio di Gesù ha lo stesso “timore”, nel suo rapporto con l’uomo. La distanza tra il Creatore e la creatura va riconosciuta, è un passaggio di verità necessario: “Che cosa è l’uomo, perché di lui ti ricordi/ il figlio dell’uomo, perché te ne curi?” (Sal 8,5). Ma è proprio questa fragilità che attira lo sguardo di Dio, quello sguardo che Gesù amministra con tanta tenerezza: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati … Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,12s.). Questa cura attenta, amorosa, delicata è espressa da un’immagine tenerissima: “Gerusalemme, Gerusalemme, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali e voi non avete voluto!” (Mt 23,37).

E’ molto facile fare del male all’uomo. Tutti dovremmo riconoscerci apprendisti nell’arte della delicatezza e del rispetto, tutti abbiamo qualcosa da farci perdonare. Riconoscere questo, sarebbe un passo verso la pace e i flagelli non sarebbero stati vani.

12 febbraio 2023                                                     don Giuseppe Dossetti