“IL TEMPIO”


188^ lettera alla comunità al tempo della conversione

Il dieci marzo inizierà il Ramadan, il mese sacro dei musulmani, e c’è molta apprensione, dopo le dichiarazioni estremiste di un ministro del governo di Israele, che vorrebbe limitare l’accesso alla spianata delle Moschee, il terzo luogo sacro dell’Islam. Molti estremisti vorrebbero distruggere le moschee e riedificare il Tempio, distrutto dai Romani nell’anno 70. Il muro, che sorregge a occidente la Spianata, è il cosiddetto Muro del Pianto, il luogo santissimo per gli Ebrei.

Che cosa rende così importanti queste pietre? Per i musulmani, dalla roccia che si trova sotto la cupola d’oro Maometto partì per la sua ascensione notturna, che lo portò fino a due tiri d’arco dal trono di Dio. Per gli Ebrei religiosi, nonostante che il Tempio sia stato distrutto, dove sorgeva il Santo dei Santi, lì c’è ancora la Presenza di Dio. Per i cristiani, le cose stanno diversamente. E’ vero che Gesù dimostra un affetto particolare per la “Casa”e ne rivendichi la santità, cacciando i venditori dal grande cortile; ma proprio in quell’occasione, egli dichiara la novità che la sua persona rappresenta. Gli viene chiesto infatti di giustificare il suo comportamento, mediante un segno, un miracolo, ed Egli risponde: “Distruggete questo tempio e in tre giorni io lo rialzerò” (Gv 2,19). Lo sconcerto degli astanti è comprensibile, “ma egli parlava del tempio del suo corpo”.

Questo versetto è di importanza capitale, per comprendere la consapevolezza che Gesù ha di se stesso. I tre giorni sono un riferimento alla risurrezione; ma, in virtù di essa e della morte in croce, il suo corpo, la sua persona, diventano il nuovo tempio, il luogo della presenza di Dio nel mondo. Non sarà più necessario andare a Gerusalemme; sarà invece decisivo il rapporto con lui, nei luoghi da lui scelti, l’Eucaristia, la Parola, la comunità, i poveri.

Ma che senso ha, oggi, affermare la presenza di Dio in un mondo che, con la guerra, ne pronunzia l’estrema negazione? Eppure, dovremmo chiederci se non stia lì la radice del male. E’ vero che il nome di Dio viene costantemente infangato, da chi lo usa per giustificare i propri delitti. Ma Gesù ne ha mostrato un volto diverso, quello del Padre, che ha sempre aperte le braccia per il figlio perduto.

Il 14 marzo ricorre il venticinquesimo anniversario della morte del nostro vescovo mons. Gilberto Baroni, il vescovo del Concilio. Ho riletto il suo discorso, pronunziato il giorno della conclusione del suo ministero. Mi piace condividerlo con voi. Egli cita anzitutto Gandhi; “Gesù è la più formidabile sorgente di forza morale che esista”. Poi aggiunge: “Cent’anni fa nella nostra terra la fede in Cristo era patrimonio comune. Mi chiedo: Abbiamo davvero fatto un passo avanti, quando abbiamo cominciato a dimenticare Gesù Cristo? Siamo ora davvero più forti spiritualmente, di quella forza indispensabile per affrontare le sfide del futuro? O non siamo piuttosto sguarniti? Indifesi? Costretti a vivere alla giornata, perché non ci sono più valori che resistano alla critica del nostro scetticismo globale? Cristo non è oppio dei popoli, ma luce, ma vigore, ma libertà. Cristo non mette in pericolo nulla, se non il nostro egoismo; non ci preclude alcuna libertà, se non quella dell’irresponsabilità, dell’odio, della cattiveria … Che cosa abbiamo che possa sostituire il suo amore, il suo vangelo, la forza morale che viene da Lui? Pensiamo proprio che una società possa vivere senza una forza morale? Senza una capacità di sacrificio?”

Sono le parole di chi ha contribuito alla crescita della nostra città, sono le parole di un “testimone”, di un uomo che è stato coerente con quello che diceva.

La prossima settimana non riceverete questa lettera, perché vado a Gerusalemme, a visitare gli amici che ho incontrato nei miei pellegrinaggi. Vi porterò con me, nel luogo dove il Risorto ha donato pace ai suoi discepoli smarriti. Questo dono lo faccia anche a noi: glielo chiediamo umilmente.

3 marzo 2024                                                                                    don Giuseppe Dossetti