IL SANGUE – 61^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus – don Giuseppe


Il sangue è una cosa seria. Per questo, in antico, i trattati di alleanza venivano conclusi con un sacrificio e il sangue della vittima era il segno del carattere definitivo di un rapporto irreversibile. Lo stesso valeva per l’alleanza tra Dio e il suo popolo. Essa era stata stipulata al monte Sinai col sangue versato sull’altare, che rappresentava Adonai, e spruzzato sugli israeliti. Ogni anno, nel grande giorno dell’espiazione, veniva ripetuto il rito del sangue.

Il sangue impone silenzio e venerazione. Quando una guerra finisce e gli uomini si risvegliano dalla follia che li ha portati a uccidersi a vicenda, essi debbono dare un significato a tante morti. Coloro che sono accecati dall’ideologia, continuano a contrapporre i propri caduti a quelli del nemico. Tuttavia, col passare del tempo, cresce in molti il sentimento di trovarsi di fronte a qualcosa di sacro, che richiede meditazione e silenzio. Mi pare che qualcosa del genere stia avvenendo anche per i morti dell’ultima guerra e del periodo della resistenza. Il giudizio storico è ormai consolidato. Rimane però la richiesta della pietas, di fronte alla sofferenza umana, alle storie ignorate, che non si lasciano ridurre a schemi di parte. Anche le frontiere appaiono artifici per mettere l’uomo contro l’altro uomo. Ma il sangue ha lo stesso colore, per l’uno e per l’altro. Di fronte alla sofferenza e alla morte, si avverte la necessità di cambiare il nostro modo di essere nel mondo, di dare alla vita scopi più nobili, di riconoscere l’eguale dignità di ogni essere umano.

Così dovrebbe essere: ma spesso la guerra continua e anche i morti vengono arruolati.

Che cosa ne faremo, della sofferenza e della morte di tanti in questo tempo di pandemia? Forse, ridurremo tutto a statistiche e sarà l’ultimo espediente per non ascoltare la voce del sangue.

Nel frattempo, altro sangue viene versato, in Terrasanta come in tanti altri luoghi. Centinaia di migranti continuano a morire annegati. In questi casi, non si usa la rimozione, ma la collocazione al di qua o al di là delle frontiere, che noi abilmente innalziamo, arbitrarie ed efficaci. La “loro” sofferenza non ci interessa, loro sono altri, stanno dall’altra parte. Ma possiamo ignorare la domanda della bambina di Gaza, che sullo sfondo delle macerie della casa dove sono morti i suoi compagni, grida al mondo: “Vorrei essere un dottore per aiutare la mia gente. Ma non posso. Sono soltanto una bambina. Non so davvero cosa fare. Mi sono fatta male, ma non è così grave. Non riesco a fare nulla per loro. Ho solo 10 anni. Ho soltanto 10 anni”?

Nonostante tutto, questo sangue unisce l’umanità in un’alleanza reale, anche quando ci si sforza di dimenticarla. Gli agnelli sono stati immolati. Per questo, conserviamo la speranza. Guardando ai morti, ci si dovrebbe sentire responsabili verso di loro, si dovrebbe ascoltare la loro voce, che ci direbbe ciò che è veramente importante, la fraternità universale, la stoltezza della guerra, la necessità di amministrare le risorse del pianeta secondo rispetto e giustizia. Il loro sangue ci dà l’occasione per ricominciare sempre di nuovo, come accadde al ragazzo di quindici anni, al quale fu chiesto di dare il colpo di grazia a don Pasquino Borghi il 30 gennaio 1944 al poligono di tiro di Reggio Emilia. Egli ha testimoniato che subito dopo sentì che don Pasquino lo aveva perdonato e che la sua vita, da allora, doveva essere spesa per il servizio dei bisognosi.

In mezzo a tanta sofferenza, sta la croce del Figlio dell’Uomo. “Voi vi siete accostati a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele” (Ebr 12,24). Non calpestiamo questo sangue, rifiutando di ascoltarne la voce. Non trasformiamo in un rito le parole con le quali ci interpella: “Questo è il calice del mio sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. “Fate questo in memoria di me”, egli aggiunge: tutte le volte che oserete il perdono, che infrangerete la barriera che vi separa dal fratello uomo, io sarò presente, in mezzo a voi.

06 giugno 2021                                                                      don Giuseppe Dossetti