“IL SALE DELLA SPERANZA”


222^ lettera alla comunità al tempo della conversione

Quando mai, Signore? Q

               “Sperò contro ogni speranza”: così san Paolo scrive di Abramo (Rom 4,18).A lui, non solo  vien chiesto   di fidarsi di una promessa apparentemente senza fondamento, quella di un figlio, per lui e Sara, vecchi e sterili. Ma la richiesta va oltre: quel figlio, così ardentemente atteso e amato, deve diventare un’offerta a un Dio che sembra prendersi gioco del suo fedele.

               La storia di Abramo è sempre attuale, ci parla del mistero del dolore e di un Dio che sembra lontano e assente. Il grido di Gesù in croce conferma questo inspiegabile mistero: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Queste parole sono state pronunziate ancora nelle trincee, nei campi di sterminio, nelle città sventrate, nei luoghi della fame e della malattia; anche oggi, sgorgano dai cuori feriti, in Ucraina, in Terrasanta e  là dove la vita e la dignità degli uomini vengono calpestate. Qualcuno pensa di essere vincitore, ma il più delle volte si ricade nella rassegnazione, nei confronti di un mondo che erutta morte e dolore, come un vulcano mai spento: “Io chiedo come può un uomo / Uccidere un suo fratello  …/Ancora tuona il cannone/Ancora non è contento /Di sangue la belva umana /E ancora ci porta il vento /Io chiedo quando sarà /Che l’uomo potrà imparare/A vivere senza ammazzare” (Guccini, Auschwitz).

                Nella Bolla di indizione del Giubileo, Papa Francesco fa un’affermazione decisiva: “Gesù morto e risorto è il cuore della nostra fede” (n.20). Ma sembra che il problema venga semplicemente spostato. Infatti, che cosa dice questo Gesù, quali parole usa per orientare i suoi discepoli? Nel vangelo che viene letto questa domenica il Maestro di Nazaret dice: “A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano,benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro” (Lc 6,27-30).

               San Paolo non nasconde la realtà. Egli è consapevole dell’apparente assurdità della sua predicazione: “Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,23ss.).

               Il Papa elenca altri comportamenti apparentemente assurdi: il martirio, la fiducia che la felicità sia possibile, la certezza che vi sarà un giudizio, con la rivendicazione dei diritti dei piccoli, il perdono. Tutto dipende dalla premessa, che cioè quell’uomo crocifisso alla porta di Gerusalemme sia il Figlio di Dio, che lui sia risorto, che sia lui il signore della storia. Come possiamo noi, con l’esperienza di tanti secoli, credere una simile assurdità? Chi ha incontrato la morte, non può dimenticare quanto essa appaia come qualcosa di definitivo, di trionfante, come viene rappresentata da scrittori e pittori.

               Francesco cita san Paolo, per dirci che proprio quello che sembra sconfitta, in realtà è vittoria; che quella che pare assenza, è in realtà la forma massima della presenza: “Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8,38s.).

               Ha dunque ragione Tommaso, quando pretende di toccare il corpo piagato del suo Maestro. Non si può basare la fede su una dottrina, ma solo su un’esperienza di incontro. In qualche modo, anche noi dobbiamo vedere, toccare. Lo possiamo: due sono i luoghi di questo incontro: i poveri e la Messa e la preghiera. Anche in questo caso, bisogna rischiare, insistere, accettare la strada, anche quando sembra condurre soltanto al deserto. Tutto ciò non serve soltanto a noi: noi consegniamo al mondo la libertà di una via diversa. Preghiamo, perché non accada quello che dice Gesù: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, a null’altro serve che ad essere gettato via” (Mt 5,13). Il Giubileo deve servire a conservare e a condividere questo sapore, il sapore della speranza.

23 febbraio 2025                                                                  don Giuseppe Dossetti