Nel Vangelo, sono numerose le guarigioni operate da Gesù. Oggi, parliamo di una guarigione molto particolare, quella di un lebbroso. La lebbra portava con sé l’esclusione dalla comunità: il malato non poteva entrare in città, né avere rapporti con alcuno, e nessuno poteva avvicinarsi a lui, pena il partecipare alla sua condizione di impurità e quindi di separazione. Il lebbroso era un morto che camminava.
Noi comprendiamo bene questa condizione: distanziamento, divieto di contatti stretti, paura del contagio sono le preoccupazioni di tutti, in tempo di coronavirus. Un comportamento come quello di Gesù sarebbe considerato sommamente scorretto e passibile di una grossa multa.
Gesù, infatti, tocca il lebbroso con la sua mano. Non sarebbe necessario, perché egli ha guarito tanti ammalati semplicemente con la parola. Ma questo contatto è un segno.
Anzitutto, Gesù non vuole essere né un mago né un guaritore. Prima della guarigione dalla malattia, egli vuole restituire al malato la sua dignità, la sua appartenenza alla comunità, la certezza di essere amato. Lo sanno bene coloro che curano gli ammalati, soprattutto in questo periodo di pandemia. A loro va la nostra grande riconoscenza: sappiamo quanta è alta la richiesta che gli vien fatta, quella di sostituire in qualche modo quello di cui i loro pazienti sono stati privati. Perché tanti, soprattutto anziani, subiscono il disorientamento, quando sono ricoverati in ospedale? Magari, il contatto di una mano, una carezza, il modo stesso con il quale il loro corpo viene accudito, restituisce almeno in parte un mondo di affetti.
C’è però qualcosa di più. Il contagio del lebbroso sembra che sia voluto da Gesù. In realtà, si opera uno scambio: egli contagia il malato con la sua potenza di vita; il lebbroso contagia Gesù con la sua malattia, quasi una profezia della morte, che il Maestro subirà di lì a poco. Ancora una volta, il Vangelo ci esorta a considerare il prezzo della guarigione, sia della malattia, ma anche di quel male più profondo che c’è nell’uomo. Il prezzo è quello indicato da Giovanni il Battista: “Ecco l’agnello di Dio, che toglie, prendendolo su di sé, il peccato del mondo”. Va notato che il peccato è citato al singolare: è la somma del male, di tutto il male, quel peso che schiaccia il Messia sanguinante sulla pietra dell’Orto degli Ulivi (Mc 14,32-42).
L’episodio del lebbroso ci aiuta anche considerare la radice del comportamento di Gesù: “Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò …”. La compassione: letteralmente, è il moto delle viscere (così la parola greca), di quello che noi chiamiamo “il cuore”, la parte più intima dell’uomo. E’ la commozione del Samaritano di fronte all’uomo ferito, abbandonato sulla strada; è la commozione del padre, che accoglie il figlio fuggito di casa, che ritorna lacero e senza dignità.
Bisogna leggere e rileggere pagine del Vangelo come questa, per liberarci (e non ci riusciremo mai completamente) dell’immagine che ci portiamo dietro, di un Dio più simile al Giove “altitonante” che al Dio della Bibbia. A Giove l’uomo non interessa, è un trastullo per sfuggire alla noia dell’Olimpo: non si possono leggere l’Iliade e l’Odissea, senza sfuggire all’impressione che gli dei giochino come un bimbo con i suoi soldatini.
Il Dio di Gesù, che è il Dio di Abramo, di Davide, di Geremia, è un Dio appassionato, nel senso letterale, che non rifugge dal patire per questi suoi figli riottosi e ingrati. In questa prospettiva, dobbiamo vedere la Quaresima: essa non è principalmente un periodo di purificazione, di rinvigorimento spirituale. San Paolo ce lo dice bene nel Mercoledì delle Ceneri: “Per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio” (2Cor 5,20s.). L’Uomo dei Dolori ci viene posto dinnanzi. “Ecce homo”, dirà Pilato: lui è noi, è quel lebbroso che siamo noi. Eppure, la Scrittura dice: “Guardate a lui e sarete raggianti, i vostri volti non dovranno arrossire” (Salmo 34,6). Quello sguardo ci parla di un amore “con tutto il cuore”, con tutto il cuore di Dio.
14 febbraio 2021 don Giuseppe Dossetti