IL FASCINO DEL MALE


209^ lettera alla comunità al tempo della conversione

 La guerra è transitata nelle pagine interne dei giornali, ma non sono cessati gli omicidi, gli atti di terrorismo, l’odio che cresce fino a dire esplicitamente che il nemico è un animale, che può quindi diventare preda di una caccia senza quartiere. La vendetta per la strage del 7 ottobre è ormai superata da una apparente volontà di distruggere l’avversario, non solo i terroristi o i miliziani, ma un intero popolo, come prevede il cosiddetto “piano dei generali”, vero programma di pulizia etnica, che consiste in sostanza nel mettere la popolazione, per il momento quella del nord della Striscia, di fronte alla scelta tra l’emigrare e il morire di fame.

               Perché dimentichiamo? Forse, si tratta della conseguenza di un sentimento di impotenza che prende tutti, anche coloro che hanno maggiore sensibilità. Ci vien da dire, con cinismo, che ci si abitua a tutto, anche alla sofferenza degli altri.

               Forse però c’è qualcosa d’altro, un’onda pericolosa, alla quale dobbiamo assolutamente reagire. Il male, soprattutto quello più pesante, ha un fascino, che può portare all’ammirazione. Sembra un paradosso. Ma chiediamoci: chi non è rimasto affascinato dai successi della tecnologia israeliana, della capacità di scovare e uccidere i capi di Hamas e di Hezbollah, nonostante i tentativi di nascondersi? Qualcuno lo ha detto esplicitamente, che, dopo la decapitazione dell’idra terrorista,, è possibile che i negoziati siano maggiormente a portata di mano.

               Dobbiamo reagire con determinazione a questa seduttività del male, che inquina le coscienze, ma anche l’intelligenza. Non si può costruire la pace con la guerra. Fu l’illusione della “pace” di Versailles, alla fine della Grande Guerra, e sappiamo che cosa è venuto dopo. Ogni volta si ripresenta l’illusione, anche se i dati di fatto la smentiscono. La guerra produce il terrorismo, non lo sradica, e prepara i terroristi di domani, coloro che oggi sono bambini e vedono morire i loro cari e i loro amici, le loro case distrutte, i loro padri e i loro fratelli maggiori umiliati in carceri disumane. La guerra non procura sicurezza, neanche per un gigante tecnologico come Israele: l’avversario si adatta specularmente, si procura una tecnologia che fa arrivare i missili a Tel Aviv, con cariche potenti, mentre anni fa si trattava di armi imprecise e di corta gittata. Il posto degli uccisi negli “omicidi mirati” viene preso da altri, in una catena senza fine.

               Che fare, dunque? E’ importante mantenere una coscienza limpida; ma altre azioni sono importanti, anche se il bene non è appariscente e non seduce, quando invece questo accade per il male. Il bene è piccolo! C’è una ragione, per questo: se il bene è piccolo, anche i piccoli possono compierlo, appunto, con azioni piccole, che però possono accumularsi come la sabbia del mare. Prima di tutto, possiamo essere operatori di pace nei luoghi e nelle situazioni nelle quali viviamo. Se ci abituiamo a pensare e ad agire come uomini e donne di pace, il nostro sguardo diverrà diverso e forse i cosiddetti grandi dovranno confrontarsi con qualcosa che li mette in discussione e nello stesso tempo indica una diversa prospettiva. Poi, la preghiera. Tutti possono pregare, anche gli atei. Può sembrare un paradosso, ma è importante pregare per Netanyahu e per Putin, ed è importante che essi lo sappiano. Questa preghiera universale, per noi cristiani, ha un senso: è il sangue di Gesù, che è stato versato “per voi e per tutti”.  Come dice l’Apostolo, “Egli è la nostra pace, che di due ha fatto una cosa sola” (agli Efesini 2,14). Per Paolo, si trattava di giudei e pagani; noi abbiamo moltiplicato le contrapposizioni; pregare vuol dire ricordare a tutti il loro fondamento, che è uno solo.

               Lasciamoci guidare dal Patriarca emerito di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah: a novantun anni, pubblica ogni giorno una piccola preghiera sul sito di Pax Christi, http://www.bocchescucite.org.  Lui, che vive il martirio del suo popolo, ci dà l’esempio.

27 ottobre 2024                                                       don Giuseppe Dossetti