“IL CAVALIERE DELLA FEDE”


212^ lettera alla comunità al tempo della conversione

          “Cavaliere della fede” è il titolo che Kierkegaard attribuisce ad Abramo, per sottolineare ii carattere eroico del suo rapporto con Dio. Mi viene in mente una delle più belle incisioni di Albrecht Duerer, intitolata “Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo”, nella quale si vede un guerriero a cavallo, che guarda dritto davanti a sé, incurante dei mostri che lo vorrebbero atterrire e degli allettamenti che vorrebbero distoglierlo dalla sua meta.

          Mi è venuta in mente questa immagine, nei giorni nei quali la Chiesa inizia un nuovo anno con il periodo dell’Avvento. Si leggono i passi del vangelo, nei quali Gesù non nasconde nulla e prospetta ai suoi discepoli persecuzioni, in un quadro di guerre e di conflitti, che egli riassume così: “Le potenze dei cieli saranno sconvolte”(Lc 21,26): verranno cioè a mancare le sicurezze e le confortanti prospettive, che solo pochi anni fa nutrivano l’ottimismo universale.

          E’ proprio questa oscillazione del sentimento che Gesù indica come il pericolo, che egli desidera che la sua comunità eviti. Il suo messaggio si riassume in poche parole; “State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo”Lc 21, 34-36). Dissipazione e affanno sono i due poli tra i quali oscilla l’uomo: quando le cose vanno bene, si pensa che siano eterne; quando riteniamo che vadano male, ci sentiamo sbigottiti e inermi.

          Forse, ora possiamo capire che l’annunzio della fine, la “fine della storia e del mondo”, può essere una buona notizia. In effetti, esso fa parte del Credo, cioè del riassunto del tesoro della Chiesa e fondamento della sua speranza: “Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. Forse, non siamo abituati ai simboli del linguaggio della Bibbia; tuttavia, è proprio Gesù che parla della fine con molta sobrietà. Egli dice semplicemente che il Figlio dell’Uomo verrà, che vi sarà un giudizio: ma dice anche espressamente che il tempo della venuta è ignoto. Meglio dunque concentrarsi sul presente, verso il quale egli suggerisce due atteggiamenti. Anzitutto, la perseveranza, il non lasciarsi distogliere dalle sofferenze o dai piaceri mondani. Il cavaliere tiene fisso il suo sguardo alla meta. E’ da stolti aspettare la gioia da un nuovo ordine mondiale: molti ci hanno provato, ma sappiamo come è andata a finire. Eppure, come per una malattia cronica, Adamo non smette di provare a costruire il suo giardino. Ma altrettanto infondato è il pessimismo. Gesù dice che la fine verrà non perché l’uomo distruggerà il giardino. Egli non nasconde la gravità della sofferenza e le sue conseguenze. Una frase, in particolare, mi colpisce: “Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti” (Mt 24,12). E’ quello che sta succedendo in questi anni di guerra. Quale strada seguire, dunque, quale armatura indossare, come il Cavaliere? “Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” . La perseveranza si esprime nella responsabilità: responsabilità verso gli altri uomini e verso il creato(, certamente: ma soprattutto, responsabilità verso Dio, nel luogo nel quale Egli ci ha messo.

          Il secondo atteggiamento è la speranza, che Gesù descrive con una bellissima immagine: “La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia” (Gv 16,21s.). L’ultima parola è la vita, non la morte. Le cose umane non sono eterne, né la gioia né la sofferenza. Ma, l’eternità è entrata nel tempo, lo ha reso gravido di ciò che si manifesterà alla fine, ma che già ora sorregge colui che si consegna alla volontà di un Dio, che il Cavaliere ha imparato a chiamare Padre.

01 dicembre 2024                                                            don Giuseppe Dossetti