221^ lettera alla comunità al tempo della conversione
Proseguendo la nostra riflessione sul Giubileo, abbiamo preso in considerazione i “segni” che il cristiano è chiamato a dare nei luoghi dove la speranza è più difficile. Papa Francesco ne indica otto: tre li abbiamo considerati la volta scorsa: la pace, il desiderio di trasmettere la vita, i carcerati. Vi sono poi altre realtà, che ci vengono incontro e chiedono di essere orientate alla speranza: i malati, i giovani, i migranti, gli anziani. tutte situazioni nelle quali, per una ragione o per l’altra, si sperimentano la debolezza e il limite. L’ultimo luogo, nel quale annunziare la speranza è quello che coinvolge miliardi di persone, i poveri. Per essi, il Papa chiede compassione: “E’ scandaloso che, in un mondo dotato di enormi risorse, destinate in gran parte agli armamenti, i poveri siano la maggior parte, miliardi di persone”.
Ma c’è qualcosa di ancor più imbarazzante. I cristiani hanno un Signore, così essi chiamano il Cristo: Signore, cioè padrone e anche giudice, ancorchè misericordioso. Proprio perché signore, la sua parola dovrebbe orientare la vita dei suoi discepoli. Ebbene, nel Vangelo egli dice: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio; beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati … Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione … “ (Lc 6,20ss.).
Parole come queste suscitano imbarazzo e talvolta anche una dura reazione. L’esempio più chiaro è la “teologia della prosperità”, che ispira l’”Ufficio per la fede”, istituito dal Presidente Trump e diretto da Paula White. Ne parla Antonio Spadaro su “Avvenire” (11.02.2025). L’idea di base è che “attraverso il potere della fede, i credenti possono ottenere ricchezza, salute e benessere, mentre la mancanza di fede porta alla povertà e alla malattia”. Tale approccio “promuove un forte individualismo, rischiando di creare una mancanza di empatia verso i poveri, considerati come persone con fede insufficiente”. In altre parole, la loro povertà i poveri se la son voluta; altro che beati.
Come si può comprendere la parola di Gesù? E’ forse un invito alla rassegnazione? Certamente no. Le “Beatitudini” ci parlano delle preferenze di Dio. Dio ha scelto i poveri (1Corinzi 1,27; Lettera di Giacomo 2,5). Li ha scelti al punto che Gesù si identifica con loro: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare … Quando mai, Signore? – Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25). Dunque, non bisogna rassegnarsi, bisogna dar da mangiare agli affamati e prendere sul serio quello che il Papa ricorda, che cioè non siamo padroni, ma amministratori delle grandi risorse del mondo, che sono destinate al bene di tutti. Bisogna visitare e curare i malati, accogliere gli stranieri (“ero straniero e mi avete accolto”), aiutare i carcerati.
Il commento di san Vincenzo de’ Paoli è questo: “Non dobbiamo regolare il nostro atteggiamento verso i poveri da ciò che appare esternamente in essi e neppure in base alle loro qualità interiori. Dobbiamo piuttosto considerarli al lume della fede. Il Figlio di Dio ha voluto essere povero, ed essere rappresentato dai poveri. Egli stesso volle nascere povero, ricevere nella sua compagnia i poveri, servire i poveri, mettersi al posto dei poveri, fino a dire che il bene o il male che noi faremo ai poveri lo terrà come fatto alla sua persona divina. Dio ama i poveri, e, per conseguenza, ama quelli che amano i poveri”.
C’è uno stretto legame tra i poveri e la speranza. Essi sono il luogo nel quale annunziare la speranza con azioni concrete, con la condivisione e l’accoglienza. Ancora di più che per gli aiuti materiali, essi ci sono grati se si sentono considerati fratelli, se viene riconosciuta la loro dignità. Troppe volte essi sono stati considerati un problema, mentre il problema vero è che noi non vogliamo mettere in discussione il nostro modo di vivere. Ma la speranza è contagiosa. Proprio perché Dio ama coloro che amano i poveri, accoglierli e aiutarli genera la speranza in noi. Il nostro aiuto è come una luce, che, catturata da uno specchio, ritorna a noi e ci illumina.
16 febbraio 2025 don Giuseppe Dossetti