205^ lettera alla comunità al tempo della conversione
Mi sono commosso, quando ho visto il card. Parolin, inviato da Papa Francesco, entrare nel monastero di Berdiciv, il santuario mariano caro ai cattolici ucraini. Lo avevo visitato nel 1992, in occasione del mio primo viaggio in Ucraina. Dopo la fine dell’URSS, nel Natale 1991, le chiese erano state restituite alle varie comunità. Erano ridotte in modo indicibile: il monastero di Berdicev, risalente al XVII secolo, era stato trasformato in un cinema e la cripta in una piscina. Le immagini sacre erano state rimosse e distrutte, compresa l’icona miracolosa. Sofia, la fondatrice della scuola che stiamo aiutando, mi ha raccontato un episodio, che ci dice quali erano le condizioni dei cristiani e quale forza di resistenza c’era in loro. Era rimasta solo un’immagine di Maria, una scultura in pietra, che faceva tutt’uno con la cuspide della facciata e che era stato impossibile rimuovere. Una notte, Sofia e alcuni amici, trovarono una scala abbastanza lunga e portarono un mazzo di fiori davanti all’immagine della Madonna. Al mattino, la città fu in subbuglio, ma, nonostante le indagini della polizia, i responsabili non vennero scoperti. Era un tempo, nel quale un mazzo di fiori veniva visto come un atto eversivo.
Oggi, la chiesa è stata restaurata: si specchia in un lago, dove crescono le ninfee. Tanta bellezza nasconde la memoria di sacrifici e di dolore; oggi, altre sofferenze sono presentate alla Vergine, “Avvocata nostra”.
Il cardinale Parolin ha pronunziato parole coraggiose: “La pace regni dentro di voi, affinchè possa regnare nella vostra patria”. La Santa Sede è forse l’unico luogo, nel quale vengono collegate la pace e la conversione personale. Non è la prima volta che questo legame si mostra necessario. Nella Grande Guerra, si ragionò come se tutto dipendesse dalla vittoria delle armi. Ci fu chi vinse, ma fu vittoria breve: un altro conflitto, ben più mortifero, devastò il mondo. Ma allora ci fu una reazione spirituale e morale, e molti uomini e donne seppero raccogliere il messaggio. Tuttavia, sembra che oggi i cuori non ascoltino, come è avvenuto per le parole di Giovanni Paolo II, alla vigilia della guerra in Iraq:
“Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: “Mai più la guerra!”, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!” (16.03.2003).
Il Cardinale ha avuto il coraggio di mettere al primo posto la preghiera e di affidare alla Chiesa ucraina proprio a lei, così colpita nei suoi figli, il compito di chiamare a una “preghiera incessante, affinché Dio converta i cuori di coloro che, allontanatisi dalle sue vie e divenuti schiavi del proprio orgoglio, seminano violenza e morte, calpestando negli altri la dignità di figli di Dio”.
Noi non immaginiamo lo sconforto di coloro che “vivono in fuga”, in Ucraina come in tanti luoghi. Essi si chiedono, dove sia il Dio della misericordia, colui che viene invocato come giudice giusto. Parolin ha parole di affettuosa comprensione: “Non perdere mai la fiducia e la speranza in Dio, soprattutto oggi, quando sembra che il male abbia il sopravvento, quando gli orrori della guerra e il dolore per le numerose vittime e le massicce distruzioni mettono in crisi la fede nella bontà divina, quando le nostre braccia cadono e non abbiamo nemmeno più forza per pregare”. Allora, l’unica risorsa è “guardare al Cristo crocifisso: in quel Venerdì Santo, quando il peccato sembrava aver trionfato, e la missione salvifica di Dio fallita, proprio allora, è sorta l’alba radiosa della Pasqua. La morte non avrà l’ultima parola, anche se si fatica a vedere l’orizzonte della Resurrezione”.
28 luglio 2024 don Giuseppe Dossetti