L’orrore dei delitti di pedofilia, commessi da persone del clero, è emerso anche in Francia. Il Papa ha detto che questa è l’ora della vergogna e anche di un doveroso esame di coscienza, per le troppe omissioni che emergono da queste tristissime storie. Vorrei però fermarmi su un tema, che nel dibattito riemerge continuamente: la critica mossa alla regola del celibato per i preti, quasi che esso li esponesse maggiormente a una sessualità deviata.
Di fatto, troviamo pedofili e pedopornografi anche tra le persone sposate; tuttavia, non si può evitare di interrogarsi sul senso della verginità consacrata: noi preti lo dobbiamo al nostro popolo e ai giovani e alle giovani che avvertono questa vocazione.
Credo che la questione non si porrebbe, se Gesù e Maria non avessero scelto e vissuto la verginità. Altre motivazioni sono state accolte anche in ambito cristiano: per esempio, in antico, lo spiritualismo platonico o gnostico, e anche la svalutazione della carnalità da parte di grandi religioni come l’induismo. Forme di vita ascetica le troviamo in tutte le tradizioni spirituali. E’ molto interessante ciò che avviene nell’ebraismo, che fin dai suoi inizi dà grande importanza al matrimonio e alla procreazione, ma che conosce un esempio straordinario di verginità nel profeta Geremia.
Proprio il caso di Geremia può aiutarci a capire. Egli vive negli anni tragici dell’infedeltà di Israele e della distruzione di Gerusalemme. La sua verginità non è un ideale ascetico, ma un aspetto della sua condizione di dolore e povertà, che riassume e rappresenta quella del suo popolo.
Allo stesso modo, la verginità di Gesù non può essere disgiunta dalla sua passione e dalla sua croce. Egli vive la povertà di colui che “non ha dove posare il capo” (Mt 8,20) e costantemente rifiuta il potere che gli viene offerto: “Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la sua vita per le moltitudini” (Mt 20,28). La verginità e la povertà di Gesù sono realtà paradossali, come è paradossale la croce: Pilato lo comprende benissimo, quando fa appendere il cartello: “Questi è il re dei Giudei”.
La verginità e la povertà non sono quindi un’opzione, da collocare sullo stesso piano del matrimonio e dell’uso dei beni della terra: Gesù sceglie una via che è perdente e assurda secondo il mondo, come assurda è la pretesa di regnare dalla croce. Egli chiede a qualcuno dei suoi discepoli di percorrerla insieme a lui; lo chiede anzitutto a sua Madre. Ma questo fa parte di una richiesta totalitaria: “Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt 16,24). I vergini e i poveri nella Chiesa non sono quelli che hanno deciso di scegliere un programma di vita alternativo, ma hanno percepito nella loro vita la richiesta di essere immagine del loro Signore crocifisso. Viene subito in mente san Francesco: in lui, verginità e povertà fanno parte di una via di assimilazione al suo Signore, che arriva fino alla partecipazione alla croce, attraverso l’impronta della stimmate.
Chiedersi il perché della verginità equivale a chiedersi il perché della croce. Perché, come dice il Pellegrino di Emmaus, “era necessario che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria” (Lc 24,26)? E in che cosa consiste questa gloria?
Fin da giovane, mi sono posto la domanda del perché del male. Non solo del perché della sofferenza: essa, il più delle volte, è effetto del male commesso da altri uomini. Mi sono chiesto se ci fosse una via per ottenere consolazione, ma anche se fosse possibile parlare di perdono. Mi sono posto la domanda di dove fosse Dio: ma non perché pensassi che Egli mancasse di potenza, ma proprio perché l’eccesso di potenza ce lo fa immaginare troppo al di sopra delle cose umane, della banalità del male e della morte. Ho avuto la grazia di incontrare maestri ed esempi, che mi hanno orientato alla croce di Gesù. Ho concluso, che l’ultima tentazione che gli è stata rivolta, “scenda ora dalla croce e crederemo in lui” (Mt 27,42), era l’invito a rientrare nella “normalità” del mondo, dove la storia la fanno i potenti. Ma Gesù ha voluto, in conformità alla volontà del Padre, raggiungere tutti gli uomini, i disperati, gli oppressi, i malati, gli ultimi della terra.
Nello stesso tempo, però, egli ha voluto aprire una porta di speranza ai carnefici, mostrare che anche per loro c’è una via di riscatto, che l’errore di Giuda non è stato il tradimento, ma la disperazione.
Questa è la “gloria” del Crocifisso: l’inclusione di tutti in un’unica volontà di amore, nella quale persino vittime e carnefici possono ritrovarsi. La verginità di Gesù non è impedimento all’amore e neppure è infecondità: al contrario, in essa si compie la promessa fatta ad Abramo, anch’essa paradossale, perché rivolta a un uomo e a una donna sterili: “In te si diranno benedette tutte le famiglie della terra” (Gen 12,3).
10 ottobre 2021 don Giuseppe Dossetti