“PER LE SUE PIAGHE SIAMO GUARITI”


224^ lettera alla comunità al tempo della conversione

               Può essere cancellato il male, quello vero? Nelle atrocità alle quali assistiamo in Israele-Palestina, e che ci sono descritte nell’articolo di un giornalista israeliano, che allego, si ha  l’impressione di assistere a una valanga, che, più passa il tempo, più acquista forza letale e travolge ogni tentativo, non dico di arrestarla, ma di orientare le coscienze verso un briciolo di speranza. Può essere cancellato il male? La mia risposta è no: non può essere cancellato, ma solo espiato, cioè, qualcuno deve prendersene la responsabilità. Cercherò di spiegarmi, ma voglio subito chiarire un punto: solo un innocente ha il diritto di caricarsi delle colpe di altri. E chi è veramente innocente?

               Si scelgono altre vie. La più facile, che però corrode le coscienze, è la vendetta. Essa dovrebbe essere proporzionata all’offesa: su questo principio si basa il sistema giudiziario delle nazioni. Ma proprio quello che sta succedendo in Terrasanta dimostra quanto sia difficile fermarsi alla soglia della proporzione. In ogni caso, la vendetta può dare solo una sospensione, ma non può risanare il cuore e consolare le vittime.

               Una via migliore è dare la parola alle vittime, ascoltare la loro sofferenza, dare dignità al loro dolore. Il valore di questa strada è che essa attraversa i cuori, sia quello dell’innocente, sia quello del carnefice. La memoria, non solo è doverosa, ma può orientare la volontà a pensieri nobili, perché il male non prolifichi. Visitando i memoriali dello sterminio, della Shoah, ad esempio, si avverte che i morti sono ancora lì e ci interrogano: “Se sei venuto qui, non puoi tornare a casa come se niente fosse”: Le stesse parole ci giungono dai luoghi della sofferenza, da quelli che Papa Francesco elenca annunciando il Giubileo, dagli ospedali, dalle case di riposo per gli anziani, dalle prigioni. Questa è una via nobile e apportatrice di frutti; ma non cancella il male, soltanto, ne rappresenta un contrappeso. Come in una bilancia, al peso enorme del male, si  cerca di contrapporre azioni coraggiose e generose, nel piatto del bene. Tuttavia, il male rimane e il bene sembra pur sempre fragile e inadeguato.

               Anche la via del perdono, richiesto o dato, si scontra con un limite invalicabile, che Simon Wiesenthal ci rappresenta nel suo libro “I girasoli”: posso perdonare il male fatto a me, ma quale diritto ho di perdonare il male fatto ad altri?

               Il male non può essere cancellato, ma solo espiato. In altre parole, qualcuno deve farsene carico, qualcuno deve avere la volontà e il diritto di sostituirsi al dolore degli uni e alla responsabilità degli altri. Solo un innocente può osare questo terribile passo, e neppure può deciderlo lui: è una richiesta alla quale egli vorrebbe opporsi con tutte le sue forze, ma alla quale cede, in nome di una speranza più grande. Proprio nella tradizione ebraica troviamo presente questa via. Già nel suo inizio, cioè in Abramo. “Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli”, dice san Paolo (Rm 4,18).  Un misterioso personaggio appare poi, nella storia di Israele; nel libro del profeta Isaia (53,3-5), leggiamo:

 Disprezzato e reietto dagli uomini, /uomo dei dolori che ben conosce il patire, /come uno davanti al quale ci si copre la faccia; /era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. /Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, /si è addossato i nostri dolori;/e noi lo giudicavamo castigato,/percosso da Dio e umiliato. /Egli è stato trafitto per le nostre colpe,  /schiacciato per le nostre iniquità. /Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;/per le sue piaghe noi siamo stati guariti”.

09.03.2025                                                                            don Giuseppe Dossetti