219^ lettera alla comunità al tempo della conversione
Abbiamo celebrato pochi giorni fa la ricorrenza dello sterminio di sei milioni di esseri umani, ebrei, zingari, prigionieri di guerra. Oggi è il giorno della memoria di un’azione malvagia e omicida, avvenuta qui, nella nostra terra. L’uccisione di don Pasquino Borghi e dei suoi compagni è una goccia del mare di odio e violenza, che ancora ci circonda e che ci costringe a farci domande alle quali è difficile rispondere: come è stato possibile? Come evitare che tutto ciò si ripeta? Ma un’altra domanda sorge inevitabilmente, ed è quella che maggiormente ci inquieta: c’è speranza? Chi è l’uomo, che è capace di simili orrori? non possiamo chiamarci fuori: qualcosa ci dice che anche oggi potremmo essere complici, o almeno testimoni silenziosi, per vigliaccheria o interesse.
Troviamo scritto nella prima lettura che abbiamo ascoltato: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza”(Ebr 10,23). La speranza non è un sentimento, ma qualcosa che si professa, che cioè nasce da pensieri e convinzioni, da una ricerca spirituale, che ci accompagnano e si approfondiscono per tutta la nostra vita. Il testo citato congiunge la speranza con il sangue. Non c’è speranza, che non sia pagata col sangue. Per il cristiano, il sangue è prima di tutto quello di Gesù, e questo spiega l’importanza della celebrazione della Messa. Ma al sangue del Redentore si mescola quello di uomini e donne, che liberamente hanno offerto la loro vita. Di loro, il nostro vescovo Massimo Camisasca ha detto: “Il sangue è diventato luce”.
Essi sono luce per noi ed è per questo che noi li ricordiamo con venerazione. Nel buio della notte dell’umanità, risplendono luci come quella di Massimiliano Kolbe, che offre la sua vita in cambio di quella di un compagno di prigionia; così, anche don Pasquino, così vicino a noi, ci aiuta a confermarci nella speranza.
Che fare, allora? Una parola viene giustamente ripetuta, esemplarmente nei “viaggi della memoria”: vigilanza, vigilare perché tutto questo non si ripeta. E’ giusto, ma non basta.
Bisogna rendersi conto e ricordare che il male ha un’enorme forza di seduzione e che possiamo diventarne complici o fuggire dalla responsabilità di contrastarlo.
Per questo, abbiamo bisogno di luci, che illuminino la nostra coscienza. Lo abbiamo detto: sono le persone che hanno dato la vita, per la giustizia, la riconciliazione e la pace. Ma questa luce deve venire dal di dentro di ciascuno di noi, e il Vangelo ce ne mostra il modo: “Date e vi sarà dato”(Lc 6,38); “Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più”(Mc 4,24).
Di fronte a coloro che hanno dato la vita, noi possiamo custodire l’impegno di essere generosi, di ascoltare la voce dei poveri, di ricordarci dei malati e dei prigionieri. Il di più della nostra ricompensa sarà proprio la speranza.
Basilica della Ghiara, 30.01.2025 don Giuseppe Dossetti