210^ lettera alla comunità al tempo della conversione
Più di ogni altro pensatore, Pascal ha messo in luce la contraddizione che l’uomo vive, tra l’esperienza della propria miseria e la coscienza, magari oscura, della propria dignità e grandezza. Se Pascal vivesse oggi, avrebbe molti motivi in più per confermare la sua tesi.
Anzitutto, come è grande la miseria dell’uomo! la morte è un orizzonte molto vicino, nonostante i progressi e le vittorie in tanti campi, scientifici e sociali. La guerra è il riassunto della fragilità, ma anche di un male che corrompe le coscienze, che genera complicità alle quali mai avremmo pensato. Tutti critichiamo l’egoismo, così diffuso: non trascuriamo però che esso è una difesa, una reazione alla sfiducia che possa mai esistere un ordine mondiale basato sulla giustizia..
Messaggi di speranza vengono dati, soprattutto dalle religioni, ma si fa fatica a conciliare una felicità, nella vita oltre la morte, con l’impotenza che percepiamo di fronte a tanta crudeltà, stupidità e ingiustizia.
La contraddizione maggiore, a mio vedere, sta però in uno scambio paradossale, che è sotto gli occhi di tutti e che dà l’impressione di farci vivere in una grande menzogna. Si esalta l’uomo, quando invece si dovrebbe mettere in chiaro la sua miseria; lo si disprezza, quando si dovrebbero cercare le ragioni della sua dignità.
Che cosa valgono, in effetti, gli onori, la gloria, gli applausi, ma anche le gerarchie, l’esperienza del potere? Non solo dovremo morire e nulla di ciò che ci rende orgogliosi può seguirci: ma c’è una morte anticipata, l’abbattimento delle statue che il mondo ci ha eretto e che, con tempi sempre più rapidi, distrugge. Non dobbiamo però disprezzare questa miseria. La sete dell’uomo è tanto grande che, se non trova di meglio, beve acqua inquinata. Pascal dice infatti che la miseria dell’uomo è il dolore di un re spodestato. Per questo, dovremmo avere il coraggio di mostrare all’uomo un’altra gloria, per esempio, quella della compassione, e un’altra ricchezza, quella dei poveri che benedicono il nostro nome.
Non dobbiamo rassegnarci alla nostra miseria, ma trarne vantaggio. Come? Guardando dentro a noi stessi con l’umiltà di chi ha conosciuto il male e ha misurato il fascino che esso esercita nei nostri confronti. Se ci facciamo accompagnare dall’umiltà, non troveremo nemici. Anzi, san Vincenzo de’ Paoli dice: “ Tutti quelli che ameranno i poveri in vita non avranno alcun timore della morte”. Il grande santo della carità si ispira certamente a quanto scrive san Giovanni l’apostolo nella sua Lettera (cap.4): “Noi abbiamo conosciuto e creduto l’amore che Dio ha in noi. Dio è amore: chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui … Nell’amore non c’è timore; al contrario, l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore presuppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore”. La speranza cristiana “non delude”, come ha ricordato Papa Francesco nella Lettera con la quale ha indetto il Giubileo. Certo, la nostra speranza non delude: ma quale responsabilità ne deriva! Dobbiamo metterci in ginocchio davanti agli uomini e chiedere perdono per averli trascurati o rinnegati. La nostra speranza nasce dalla Messa. Dice sempre san Giovanni: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri”. La Messa è carne e sangue: carne e sangue del Figlio di Dio: Per questo, riempie di verità la nostra fede, che diviene esperienza e azione. Essa ci accusa e ci consola. Ci accusa, per la sproporzione tra il dono che riceviamo e la nostra vita; ci consola, perché ci convince che noi, e ogni uomo, tutti, nessuno escluso, possiamo sempre ricominciare.
17 novembre 2024 don Giuseppe Dossetti