203° lettera alla comunità al tempo della conversione

          Ho visto i potenti della terra schierati sul palco, per celebrare l’anniversario dell’Alleanza Atlantica. Probabilmente, essi volevano dare un’immagine di sicurezza e di forza. Ma io mi chiedevo se veramente, nel loro cuore, erano convinti di quello che si sforzavano di rappresentare. Mi auguro che non lo fossero appieno: come sono pericolosi gli uomini che non hanno dubbi e quindi non hanno compassione! Mancava l’uomo del Cremlino, mancavano quelli che pensano di avere un diritto divino sulla terra di Israele; ma anch’essi, su un altro palcoscenico, rappresentavano la stessa parte.

          E dire che i motivi del dubbio sulla guerra sono tanti; almeno, quanti sono i morti, i mutilati, chi ha perso la casa e non sa come nutrire i propri figli e li vede morire. “E’ la guerra”, si dice. Certo, è la guerra! Essa manifesta il suo vero volto: ma come facciamo  ad accettare tanto dolore come “effetto collaterale” di qualcosa che ci rassegniamo a considerare parte delle relazioni umane?

          Il potere umano sta mostrando il suo limite. Penso che, spente le luci della ribalta, anche gli uomini e le donne ai quali sono affidate le sorti dei popoli si rendano conto dei limiti di questo potere e si trovino smarriti di fronte a una valanga, alla quale, contro il loro stesso volere, sembra impossibile resistere. Che fare, dunque? Il Regno di Dio, annunciato da Gesù, è da considerare una pia favola, inventata per i perdenti, gli scartati della storia? E’ facile scuotere le spalle, come Ponzio Pilato: egli aveva chiesto, con scherno, all’Uomo che gli stava di fronte, se era un re. Aveva ricevuto una risposta affermativa, anche se tale regno non era di questo mondo. Lo aveva fatto flagellare, lo aveva incoronato di spine, lo aveva crocifisso, con il cartello bene in vista: “Guardate che bel re avete, voi Giudei!”. Ma penso che nel profondo del cuore Pilato conservasse il desiderio, che lui per primo non avrebbe ammesso, che ci fosse qualcosa di diverso, un “altrove”, rispetto a un ordine, quello della Pax Romana, basata sul sopruso e sulla violenza. Forse sua moglie, Claudia Procula, lo aveva capito: “ Mentre Pilato sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: “Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua”(Mt 27,19)..

          Conserviamo questo turbamento, questo dubbio o questa nostalgia. Non è male riconoscere i propri limiti Per questo, è così necessaria la preghiera. Certo, la preghiera:. Si prega anche oggi come un secolo fa, nella Prima guerra mondiale. Come allora, ciascuno prega per la vittoria delle proprie armi. Ma non si dovrebbe pregare, piuttosto, per noi stessi, per ammettere la propria cecità e l’indurimento del cuore, piccolo o grande che sia? Sembra quasi che ciascuno abbia la ricetta da prescrivere a Dio: ma questa è idolatria. Riconoscere a Dio la Sua grandezza e libertà vorrebbe dire riconoscersi nel cieco che grida a Gesù: “Maestro, che io veda!”

          Come sarebbe bello, e anche efficace, che un parlamento, il nostro per esempio, si riunisse per pregare, seguendo la logica del Vangelo. Nel suo cantico, il Magnificat, Maria dice: “L’Onnipotente ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,51s.) E Pietro, nella sua prima Lettera, dice splendidamente quale dovrebbe essere la virtù politica dei governanti: “Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili. Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, perché vi esalti al tempo opportuno, gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (5,5ss.).

          Chi avrà gli occhi purificati dall’umiltà, saprà trovare la strada.


14 luglio 2024                                                                                         don Giuseppe Dossetti