196^ lettera alla comunità al tempo della conversione

          A chi mi chiedesse che cosa penso sia più necessario per promuovere la pace, per uscire dallo scivolamento verso spese militari sempre più folli e conflitti sempre più sanguinosi e generatori di un odio che rimane a inquinare la storia ben oltre la conclusione degli scontri sul campo, non avrei dubbi a indicare l’umiltà. So che mi si accuserebbe di nascondermi dietro il solito moralismo cattolico, rifiutando di riconoscere le leggi della politica, basate essenzialmente sui rapporti di forza, come suggerisce l’assioma si vis pacem para bellum, se vuoi la pace prepara la guerra, perché solo così potrai dissuadere l’aggressore. Tuttavia, anche se, mai come oggi, si è fatta provvista di armi, l’effetto è di produrre la rincorsa a strumenti più sofisticati e letali, senza che la sicurezza aumenti e si promuovano le opere della pace.

          A mia difesa, posso citare un precedente importante, che riguarda un uomo politico di primissimo piano, Salomone, re d’Israele verso l’anno 950 avanti Cristo. Egli diventa re, succedendo a suo padre Davide. Il confronto con il grande genitore lo schiaccia: egli si sente giovane e inesperto. Organizza perciò un solennissimo rito propiziatorio e, quella notte, Dio gli appare in sogno e gli dice: “Chiedimi quello che vuoi”, quello che ti sembra più necessario per il tuo ruolo. Salomone non ha esitazioni: “Dammi un cuore capace di ascoltare!” (1Re 3,9). Considero questa la miglior definizione dell’umiltà.

          Infatti, l’uomo, qualunque sia il suo ruolo, se si mette in ascolto della sua coscienza (per l’uomo religioso, di Dio), rinuncia alla presunzione originaria, quella di Adamo, che vuol essere il dio di se stesso. Nello stesso tempo, egli riconosce che c’è un cammino da compiere, che riguarda il “cuore”. Il cuore, per la Bibbia, è la sede degli orientamenti di fondo, delle intenzioni più generative. E’ il luogo della libertà, contro tutti gli automatismi e i condizionamenti.

          Per il cristiano, questa libertà ha un nome, quello dello Spirito Santo: “Dove c’è lo Spirito del Signore, ivi è libertà”, afferma san Paolo (1Cor 3,17). Lo Spirito è il dono del Risorto, viene effuso sulla piccola chiesa delle origini, il giorno di Pentecoste, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua. Gesù ne parla con un’immagine splendida: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito”.(Gv 3,8). Consegnarsi al vento dello Spirito è certamente vissuto come un rischio e siamo tentati di aggiungere un po’ di zavorra; la stessa Chiesa ha cercato spesso la sicurezza del porto istituzionale. Tuttavia, è sempre possibile riprendere il viaggio: questa si chiama risurrezione, uscire dai sepolcri, generare nuova vita.

          Il critico che è in me continua a brontolare e mi obietta ostinatamente che tutto questo va bene per chi vuole diventare santo, ma non funziona nella politica, nell’economia, nel grande gioco della guerra e della pace. Confesso che questa obiezione mi tocca e debbo allora chiedere aiuto alla storia, all’altra storia, quella dello Spirito, e chiedermi, per esempio, se la storia di don Pasquino Borghi sia stata un fallimento, oppure se il suo sangue “è diventato luce”. Tanti come lui hanno perdonato; il suo perdono ha aperto nuove vie all’uccisore, Sergio,un ragazzo di quindici anni, che, dopo tanti anni, ci ha raccontato di aver avuto, subito dopo il suo gesto di morte, la certezza che don Pasquino lo aveva perdonato e che la vita che gli stava davanti doveva essere spesa per i bisognosi. Cosa che egli ha poi fatto.

          “La carità copre una moltitudine di peccati”, scrive l’apostolo Pietro (1Pt 4,8). Noi crediamo nella risurrezione, perché anche oggi la sperimentiamo, pur tribolata e contraddetta, se abbiamo il coraggio di compiere atti di perdono e di carità. Guidati dallo Spirito, orientiamo la nostra speranza all’atto finale della storia, nel quale il Padrone ci chiamerà alla sua gioia. Rinunciando a essere padroni del mondo, sperimenteremo la gioia dei servi “buoni e fedeli” (Mt 25,21).

19 maggio 2024                                                                                          don Giuseppe Dossetti