“IO DORMO, MA IL MIO CUORE VEGLIA”


174^ lettera alla comunità al tempo della conversione

A Belgrado, nella chiesa di san Marco, sono sepolti i patriarchi di Serbia. Su una di queste tombe sta scritto: “Io dormo, ma il mio cuore veglia”. E’ un versetto del Cantico dei Cantici (5,2), il canto dell’amore di uno sposo e una sposa, che si amano, si perdono, si ritrovano. Può sembrare strano che esso sia entrato a far parte della Bibbia, ma solo se non si ricorda che l’alleanza tra Dio e il suo popolo è paragonata dai profeti proprio a un rapporto nuziale.

E’ vero: l’amore non dorme. Egli non dorme, perché non pensa mai di aver fatto abbastanza e, nello stesso tempo, è esigente nei confronti dell’amato e veglia per continuare una storia che non finisce.

L’amore contiene in se stesso una promessa di immortalità: per chi ama, la morte non è il cadere nel nulla, ma è come il consegnarsi alle braccia di un padre, o di una madre, o di una persona amata.

Mi rendo conto che queste parole possono sembrare romanticherie, di fronte all’atrocità della guerra, del terrorismo, del crescere dell’odio, come se fosse un’onda inarrestabile. Tuttavia, qualcosa dovrebbe essere chiaro: la violenza e l’ingiustizia potranno cessare solo se lo stabilirà il cuore degli uomini. Il cuore non è tanto la sede dei sentimenti, quanto degli orientamenti della persona, degli sguardi, delle decisioni. Per questo, non c’è soluzione, per i conflitti in corso: i cuori sono induriti e, di conseguenza, gli occhi sono ciechi.

C’è un rapporto vitale, tra gli occhi del cuore e la verità. Per chi è guidato dall’odio, l’altro necessariamente diventerà una caricatura, o un mostro. Si dice che non possiamo permetterci la compassione, perché essa diminuirebbe l’efficacia dell’azione bellica. Ma io chiedo: dove vogliamo arrivare? E quale senso c’è in queste tragedie? Forse, l’aggressione all’Ucraina ha fornito l’innesco per una specie di “effetto domino”, nel quale si pensa che solo la forza, la vittoria militare possano condurre a un “ordine”. Quale ordine? Quello promesso a chi riesce a lanciare il maggior numero di missili e bombe?

Per questo, è necessario cercare la verità. Come si può pensare che la pace si possa raggiungere con la guerra? E’ verità evidente, che la pace si costruisce con atti di pace. Il conflitto tra arabi e israeliani dimostra che ogni violenza genera altra violenza, secondo una spirale di intensità crescente. La verità si raggiunge solo orientando lo sguardo con un cuore purificato.

Questo pensiero può essere di consolazione. Vegliare non è impossibile. Probabilmente, sbaglieremo, dovremo ricominciare tante volte, ci troveremo di fronte a necessità sempre nuove. Conosciamo bene il rischio di rassegnarsi, di ritirarsi, di addormentarsi in un sopore, ultimo stadio dell’impotenza. E’ necessario vegliare. Certo, sono richieste la disciplina e la sincerità, ma ci vuole anche altro. Gesù racconta una parabola, nella quale alcune ragazze sono incaricate di attendere lo sposo, per fargli luce, per accompagnarlo alla sala delle nozze. Lo sposo tarda, le ragazze si addormentano; ma, quando risuona il grido che annuncia l’arrivo dello sposo, la lampada ha conservato una piccola fiammella, che è facile far divampare di nuovo, aggiungendo un po’ d’olio. Nella nostra quotidianità, dobbiamo conservare la fiamma. Essa è la riconoscenza per quello che abbiamo ricevuto, per noi cristiani, la fedeltà a un Dio crocifisso. Nell’ora della prova, il cuore saprà trovare la strada.

12 novembre 2023                                                     don Giuseppe Dossetti