Un re decise di fare i conti con i suoi debitori. Ne arrivò uno, che doveva restituire diecimila talenti, una cifra spropositata, pari a diverse decine di milioni di euro. Costui non possiede questa somma, neanche in minima parte; secondo le usanze, il re ordina di confiscare tutti i suoi beni e di vendere come schiavi lui, sua moglie e i suoi figli. L’uomo si getta a terra davanti al sovrano, gli chiede una dilazione: “Dammi tempo, ti pagherò tutto”, dice. Sono evidentemente parole senza senso, vista l’enormità del debito. Ma il re si commuove: addirittura, condona tutto: “Vai! Sei libero, non mi devi più neanche un centesimo”. Immaginiamo la gioia di quell’uomo: esce dal palazzo e quasi non tocca terra, tanto si sente leggero. Ma sui gradini del palazzo incontra un suo collega, che gli doveva una somma relativamente piccola, neanche lontanamente paragonabile a quella della quale era stato sgravato. Egli afferra per il collo il debitore: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno si getta a terra e lo supplica con le stesse parole che poco prima l’egoista violento aveva pronunziato davanti al re: “Dammi tempo, ti restituirò tutto!”. Niente da fare: viene chiamata la polizia, per i debitori morosi c’era la galera. Il re lo viene a sapere. Convoca l’uomo che con tanto dolore lo aveva supplicato e gli fa osservare che egli aveva il dovere di avere pietà del dolore altrui, dopo aver ricevuto tanto. Il re si arrabbia veramente: “Adesso ti spedisco in prigione e ci resterai finchè non avrai pagato il tuo debito”.
Gesù racconta questa parabola e conclude: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi, se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello” (Mt 18,21-35); non solo, ma costringe i suoi discepoli a inserire il perdono nella preghiera che gli insegna: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
Confesso che mi resta un certo disagio, perché mi chiedo: il mio debito è veramente così grande? Dopotutto, nella stragrande maggioranza, gli uomini commettono povere colpe, non scusabili, ma non tali da meritare tanta severità. Certo: più il potere di un uomo cresce, più è facile che egli si lasci abbagliare e diventi sfruttatore e persecutore di altri uomini, fino a scatenare guerre e atroci violenze. Esistono poi forme di manipolazione raffinate, che riescono a rendere complici anche coloro che mai lo avrebbero pensato.
Ma questa scusa non regge. Non è importante il debito degli altri: tu sei responsabile del tuo debito, che è ampiamente sufficiente per identificarti col protagonista della parabola. Se ti nascondi dietro le colpe altrui, sei sulla buona strada per diventare collaboratore del male e, Dio non voglia, della morte di altri uomini.
Sorge però un’altra domanda: questa esortazione al perdono, sempre e in ogni caso, non è forse una misericordia a buon mercato? Non si rischia di offendere le vittime, di disporre del dolore altrui, senza averne minimamente il diritto?
La risposta di Gesù non è fatta di parole. Lo capisce il ladrone crocifisso con lui: “Tu sei qui con me; io sono veramente colpevole, tu sei innocente, ma hai voluto questa incredibile solidarietà con l’uomo, con ogni uomo. Io non accampo diritti, non faccio promesse (come potrei, io che sto per morire?). Tuttavia ho capito quello che vuoi dire a me e a tutta l’umanità, fino alla fine dei secoli. Attraverso di te, attraverso questo supplizio, che ti mette dalla parte dei disperati e dei peccatori, il tuo Dio, colui che tu chiami Padre, vuole esserlo per ciascuno di noi”.
Tutto viene riassunto in due frasi di Zaccaria, uno degli ultimi profeti, che concentra in esse l’esperienza di Israele: “Riverserò sulla casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione: volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (12,9); “In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato” (13,1).
17 settembre 2023 don Giuseppe Dossetti