Tra le violenze e le morti di questa settimana, merita attenzione particolare l’impiccagione di Mohsen Shekari, dopo la condanna pronunziata da un tribunale iraniano. La giustizia (si fa per dire) del regime degli ayatollah prevede il reato di “guerra contro Dio”, punito con la pena capitale. Viene da piangere, nel vedere un giovane privato della vita, come orribile ammonimento ai suoi coetanei.
Mi chiedo quale idea possano avere di Dio questi ragazzi, le loro famiglie, il loro popolo. Non c’entra solo il fanatismo e non basta neppure riconoscere che la religione viene usata per detenere un potere assoluto. C’è qualcosa di più, espresso bene da uno che disse “more God, more blood”, più c’è Dio in mezzo, più sangue viene versato. Sembra che voglia dire che la violenza non è la degenerazione della religione, ma proviene da qualcosa di più profondo.
Viene in mente Paolo di Tarso, che riconosce a se stesso uno zelo e una disciplina straordinari, nel suo passato di fariseo. Ma, pur nella sincerità del suo impegno religioso, egli, come dice, era divenuto “un bestemmiatore, un persecutore e un violento” (1Tim 1,13). Sarà nella Lettera ai Romani che egli rifletterà in maniera compiuta su questo paradosso: come mai “non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio” (Rm 7,19).
Riflettiamo un attimo sulla qualifica di bestemmiatore, che Paolo riconosce nel suo passato. L’insulto più grande che si possa fare a Dio, è di falsificare la sua natura, la sua essenza. La cosa singolare è, che gli stessi bestemmiatori affermano, senza saperlo, il rimedio, l’antidoto al veleno. Il grido dei violenti, “Allahu akbar”, che cosa significa? Letteralmente, vuol dire, “Dio è più grande”. Più grande di chi o che cosa? Di tutto, quindi anche di noi, anche dei suoi adoratori. Essi non hanno una delega, per rivendicare l’onore di Dio; dovrebbero piuttosto esaminarsi, sul cancro che li rode, sulla metastasi invasiva che corrompe e trasforma persino le cose buone, come è avvenuto per lo zelo di Paolo.
Qual è la risposta di Dio? Non è certamente quella di un Giove corrucciato e tonante. L’Antico Testamento viene spesso accusato di mostrarci un Dio vendicativo. Eppure, esso contiene frasi come queste: “Non darò sfogo all’ardore della mia ira, perché sono Dio e non uomo” (Os 11,9); oppure, “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (cfr. Ez 18,23).
Ma la risposta ultima di Dio è stata pronunziata a Gerusalemme, appena fuori dalla porta occidentale. Gesù viene crocifisso da pagani e, insieme a loro, da uomini religiosi, i massimi rappresentanti della religione legittima. In quell’uomo, Dio si consegna all’uomo, a ogni uomo, ai peccatori e ai malvagi in primo luogo. Da quel momento, uccidere in suo nome è la bestemmia peggiore.
“Dio è più grande”. La sua grandezza si rivela non nella forza, ma nell’enormità del suo sacrificio. Ancora una volta, è Paolo che ci mostra la logica di Dio: “Noi annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che pagani, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio” (1Cor 1,23s.). Non è un caso che la rivendicazione di un Dio potente porti alla negazione della morte in croce di Gesù: per il Corano, sulla croce è morto un sosia, perché Dio non può essere sconfitto nella persona dei suoi profeti.
Anche in altri ambienti la croce di Gesù viene rifiutata, come mostra, per esempio, la giustificazione della guerra di Putin da parte del Patriarca di Mosca. Dobbiamo ammettere onestamente, però, che anche per noi la via della mitezza è molto difficile da accettare. Penso che sia necessario rivolgere continuamente il nostro sguardo al mistero che si rivela già nel Natale. Penso anche che sia importante la preghiera, nei modi che ciascuno vorrà trovare: pregare, vuol dire riconoscere, appunto, che “Dio è più grande”, più grande di me, prima di tutto: “I miei pensieri non sono i vostri pensieri … Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie” (Is 55,8s.). Chiediamo ai piccoli, agli umiliati, alle vittime della violenza, dell’egoismo, dell’incuria, di pregare per noi.
11 dicembre 2022 don Giuseppe Dossetti