“LA DIFFICILE STRADA” – 107^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus e della guerra – don Giuseppe


Siamo in guerra e cresce la chiusura dei cuori. Sembra che non ci siano altre strade, se non quella dell’aumento della violenza. Si parla ormai solo di vittoria, non di pace. La pace vorrebbe dire compromesso, ricerca di un accordo; la vittoria mira all’annientamento del nemico. C’è una specie di slittamento a valanga: sempre più armi, sempre più violenza, con la cieca fiducia che prima o poi l’altra parte mostri segni di cedimento. Non ci si vuol rendere conto che, in questo modo, si cade in un meccanismo che ci rende sempre più complici del male e impotenti a pensare  e a trovare altre vie.

              Stiamo diventando dei tossicodipendenti. La violenza è la nostra droga, la sete di potere il filtro attraverso il quale vediamo tutte le cose.

              Il cuore indurito diviene presuntuoso e cieco: si ostenta sicurezza, negando il rischio, concreto e gravissimo, che la situazione sfugga di mano, verso sviluppi imprevedibili.

              Qualcuno comincia ad accorgersene e si chiede se si possa arrestare la valanga. In effetti, ciò che era possibile qualche settimana fa, sembra oggi remoto e utopistico.

              Il male cresce: crescono i morti, le distruzioni, le torture, ma anche le manipolazioni della propaganda e i tentativi di nascondere le conseguenze delle proprie azioni.

              Sempre di più, il male giustifica se stesso. Di fronte a tanta sofferenza, si dovrebbe fare di tutto per fermare le armi: invece, il rimedio che si propone è il solito: sempre più violenza e quindi sempre più male. Il male diviene cosa sacra: il compromesso appare cedimento, tradimento della causa alla quale si sono sacrificate tante vittime. Il male si autoalimenta: diventa stimolo per altro male.

              Questa tossicodipendenza, distruttiva di sé e degli altri, come può essere curata? Il percorso che amo proporre è quello di Alcolisti Anonimi: il primo passo è il riconoscimento della propria impotenza di fronte alla nostra droga, che non possiamo gestirla, anzi, che è lei a gestire noi. E’ il passo dell’umiltà, ma anche della verità. Solo dopo si possono cercare altre vie.

              In questi giorni, la Chiesa legge il dialogo tra Gesù risorto e Pietro. Pietro aveva dichiarato di essere pronto a seguire Gesù anche a prezzo della vita ma, come sappiamo, per tre volte lo aveva rinnegato. Il suo cuore è vuoto, come le sue reti dopo una notte di pesca infruttuosa. Gesù appare, sulla riva del lago e riempie le loro reti: è come il simbolo che si può ricominciare. Ma c’è un prezzo. Per tre volte, Gesù chiede a Pietro: “Mi ami tu?”. Tre volte. Pietro capisce che Gesù gli sta ricordando il triplice tradimento, di fronte alla serva, nella casa del Sommo Sacerdote. Ma egli va oltre il rimorso, la vergogna, la consapevolezza dei propri limiti e della fragilità delle sue promesse. “Signore, tu sai tutto”, è la sua risposta. Tu sai quanto io sia debole; ma sai anche che, nonostante questo, o forse proprio per questo, io ti amo. Penso al sorriso di Gesù, mentre gli restituisce il mandato: “Pasci le mie pecorelle!”, ma anche alla forza liberante e alla promessa: “Seguimi”, la via non sarà quella stabilita da te, ma sarò io la tua via.

              Questo dialogo, sulla riva del lago di Galilea, descrive un percorso di rinascita: è possibile il perdono, è possibile un nuovo inizio. Soltanto, si deve accogliere la domanda: “Mi ami?”.

              Può essere questa la risposta alle nostre angosce? Può essere suggerita ai grandi della terra? Ciò che è bello nella dimensione intima e personale, può avere riscontro ed efficacia quando le bombe distruggono le città e le persone vengono violate? Non si rischia di cadere nel devozionalismo ingenuo, in un’evasione colpevole, perché ci allontana dalla realtà?

              Mi chiedo però: dove ci ha condotto il nostro realismo? Quale prospettiva esso ci suggerisce, se non quella di aumentare il male?

              Ancora una volta, il nodo della questione è nel nostro cuore. Un cuore indurito e chiuso ascolta solo se stesso, non potrà mai avere la forza di uscire dall’ingranaggio della violenza. La domanda di Gesù dovrebbe costringere a fermarsi e a riflettere. Qualche settimana fa, ci veniva proposta un’altra sua parola: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”: allora, le pietre caddero dalle mani violente. Oggi, la richiesta di Gesù è più impegnativa: ci invita a guardare dentro noi stessi, certamente per riconoscere il nostro male; ma, in più, è come se qualcuno bussasse alla porta per dirci: “Non aver paura, non ascoltare i tuoi dubbi e neppure i sensi di colpa, ma riconosci che c’è una strada davanti a te, una piccola strada sulla quale non sei solo, perché qualcuno ti sorregge e ti guida”.

01 maggio 2022                                                                    don Giuseppe Dossetti