Forse è arrivato il momento di fare un discorso difficile. La Quaresima, appena iniziata, ci mette di fronte alla tentazione di Gesù, nel deserto, ad opera del diavolo. I racconti come questo, che affermano la presenza del demoniaco nella storia umana, vengono rapidamente bollati come residui di un pensiero primitivo. A noi ripugna ammettere che nella storia agiscano forze che l’uomo non ha sotto il proprio controllo, che si tratti di Dio o di Satana. L’orgoglio razionalista dimentica la frase di Amleto al suo amico: “Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ce ne siano nella vostra filosofia”. Che non sia proprio questa idolatria della ragione una parte importante del problema? Che il rifiuto di ammettere altri protagonisti nella storia non sia la causa, per la quale ci troviamo così smarriti di fronte al male, incapaci di leggerne le cause e di immaginare i rimedi?
Eppure, la Bibbia ci parla di un Dio coinvolto nella storia umana, certo non come un supereroe o come una specie di Babbo Natale. E Satana non ha la coda e gli zoccoli da caprone. La sua presenza è molto più sottile e mortale. Gesù lo dice nel Vangelo: “Egli è omicida fin dal principio” (Gv 8,44); ed è il seduttore, che ben conosce i punti deboli dell’uomo. Il mondo slavo ortodosso ha conservato la capacità di una lettura spirituale della storia e ha saputo resistere al sistema materialistico più raffinato e globale, nato (e non è un caso) in Occidente. Mi ha colpito la decisione di un’università italiana, poi per fortuna rientrata, di sopprimere un corso dedicato a Dostojevskij, come “sanzione” verso l’invasione russa dell’Ucraina. In realtà, è proprio Dostojevskij a offrirci un’interpretazione del nostro tempo, certo con il suo stile visionario e alluvionale. Se leggiamo “La leggenda del Grande Inquisitore” nei “Fratelli Karamazov”, troviamo tutti i dati dei nostri problemi attuali, come la seduzione che si fonda sulle necessità legittime dell’uomo, ponendo l’alternativa tra il pane e la libertà (è la prima tentazione alla quale Satana sottomette Gesù); e, ancora, la seduzione di un potere che vorrebbe promuovere la felicità dell’uomo e invece giunge ad essere omicida. Il Cristo, che ritorna in terra e si fa partecipe ancora una volta della sofferenza umana, offre persino al Grande Inquisitore una via di scampo, per ricuperare la sua umanità e sfuggire al suo destino di strumento del Male.
Tra le conseguenze orribili della guerra di Putin vi sono quelle di lungo periodo, le macerie spirituali. Ogni guerra porta a estremizzare i contrasti e così, facilmente, Oriente e Occidente si allontaneranno sempre di più, se non affermiamo con forza che la Russia non è Putin e che in essa c’è ancora un grande patrimonio spirituale, che ci appartiene. Si vede già adesso l’aumento delle tensioni tra le Chiese. Mi rendo conto che il mio discorso è fin troppo abbreviato, ma esiste un precedente, il grande esodo dei russi in Francia dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Il loro contributo all’arte, alla filosofia e alla spiritualità fu enorme. Accogliamo quindi con rispetto chi arriva ora con le piaghe di grandi sofferenze e ricordiamoci che sono portatori di un tesoro, che già si manifesta nella dignità e nella forza d’animo con le quali affrontano una prova così ingiusta. Non è forse la fede, mantenuta sotto poteri apparentemente invincibili, che li ha plasmati così?
Un popolo che porta la croce è misteriosamente unito alla passione di Cristo, è uno di quei segni che la fredda ragione non riesce a interpretare, ma che anzitutto ci costringono al silenzio, alla riflessione, con linguaggio cristiano, alla conversione.
L’invito del Papa alla preghiera e al digiuno, in questa prospettiva, non appare come un rituale scontato, ma ci sollecita, a mio parere, in due direzioni. Anzitutto, nella direzione dell’umiltà, così da riconoscere che non siamo padroni della storia ma, al massimo, pellegrini in terra straniera. In secondo luogo, la coscienza del limite può orientarci a riconoscere i segni di una presenza, che trasforma la croce , secondo la bellissima immagine della Lettera agli Ebrei, in ancora di salvezza: “(nella fede) abbiamo come un’ancora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario”: il santuario è ciò che è oltre, di cui avvertiamo la presenza, ma c’è un velo, un limite. C’è però chi lo può disvelare: “In esso Gesù è entrato come precursore per noi, divenuto sommo sacerdote per sempre” (Ebr 6,19 s.).
Ancora una volta, la croce è il silenzio di Dio e la parola di Dio.
06 marzo 2022 don Giuseppe Dossetti