Molti anziani sono morti e molti giovani si sono spenti. Potremmo riassumere così, con una certa brutalità, il bilancio di questi quindici mesi di pandemia. E’ necessario, però, essere sinceri con noi stessi sulla natura del male, per incominciare a costruire percorsi di rinascita.
Il distanziamento non è stato soltanto fisico. Esso ci ha rivelato il bisogno e nello stesso tempo la povertà delle nostre relazioni. La morte c’era anche prima, ma il morire in solitudine, l’estraniazione dai nostri cari, ne ha messo in rilievo l’aspetto più doloroso. Le statistiche rischiano di trasformarla in un evento fisiologico, come la “rottamazione” delle automobili. Sarebbe un insulto ai morti e alle loro famiglie. Ma allora diventa più stringente chiedersi il perché di tanta sofferenza, se c’è un senso nel morire.
La stessa domanda che ci facciamo riguardo alla morte, dobbiamo porcela anche per quel che riguarda la vita. Qualcosa dovremmo aver capito tutti, che cioè la vita è intrinsecamente comunione, che essa acquista senso se le nostre relazioni sono profonde, sincere e durature. Per questo, dobbiamo chiederci come queste relazioni erano, prima del virus, e che cosa significa per noi “ripartire”. E’ sconfortante che la ripartenza sia identificata con la possibilità di fare le ferie quando e dove ci pare. La ripartenza dev’essere anzitutto un evento interiore, la ricerca di una vera comunione con il “tu” dell’altro e, nello stesso tempo, la disponibilità ad accogliere l’altro nella sua diversità, vissuta come dono.
La fede cristiana crede nella unità delle tre Persone divine. E’ interessante notare che la trinità non metta a rischio l’unità, anzi, la renda possibile e l’arricchisca. Questo avviene, perché è una trinità di relazioni. Don Tonino Bello disse una volta che uno più uno più uno fa tre, quando l’unità viene vissuta come individualità autosufficiente; ma uno per uno per uno fa uno, l’unità arricchita dall’accoglienza e dal dono reciproci.
Dunque, non ripresa, ripartenza, come se finalmente potessimo gettarci alle spalle un brutto periodo. Piuttosto, parliamo di rinascita, di “risorgimento”, cioè di una nuova visione della vita e di un nuovo slancio. Si tratta di abbattere le barriere, i pregiudizi e le paure; anzi, ben venga il pregiudizio che ci spinga ad andare alla ricerca dell’altro, convinti che egli sia portatore di un dono.
Ho ricordato, all’inizio, che molti giovani si sono spenti. Parlo di quelli che si sono chiusi in casa e che fanno fatica ad approfittare delle aperture che stanno venendo avanti. Certo, questo dimostra quanto fossero fragili le loro relazioni, e che si trattasse di prossimità fisica più che di vera amicizia. Non ho risposte, circa quello che si dovrebbe fare, ma credo che le troveremo, se il nostro atteggiamento sarà di accoglienza e di interesse, se rinunceremo alla malsana moda, che è venuta aventi in questi anni, di intendere i rapporti umani come competizione. Non competizione, ma solidarietà: la prima solidarietà è quella tra le generazioni. Viene in mente quello che san Benedetto scrive nella sua Regola: “Juniores diligere”, voler bene ai più giovani. E aggiunge: “Abbiamo detto di consultare tutta la comunità, perché spesso è proprio al più giovane che il Signore rivela la soluzione migliore” (Regola, cap.3).
Chiediamo il coraggio. Il puro e semplice ritorno al passato non sarà possibile, anche volendolo: troppe cose sono cambiate in questi mesi. Coloro che non saranno disponibili a mettersi in gioco soffriranno e faranno soffrire. Ci conforti l’esempio di Dio. Egli vuole che l’uomo entri nella sua comunione e il prezzo che Egli paga è il sacrificio di Gesù in croce. Dobbiamo sempre di più leggere la Croce come l’atto supremo di una volontà di amore. “Prender parte alle sue sofferenze”, come ci suggerisce l’Apostolo (Rm 8,17) è il prezzo da pagare per entrare anche noi in questa volontà buona. Prosegue san Paolo: “Se siamo figli, siamo anche eredi e partecipi della gloria di Cristo”. Nella maggioranza dei casi, non sarà necessario l’eroismo: basterà guardare gli uomini con occhio diverso e seguire la voce del cuore.
30 maggio 2021 don Giuseppe Dossetti