RIPARTENZA – 54^ lettera alla comunità al tempo del coronavirus – don Giuseppe


I numeri della pandemia sembrano diventare un po’ migliori o, forse, noi desideriamo che sia così. In ogni caso, c’è un gran desiderio di ripartire, un’energia viscerale, come dopo la guerra. Spesso, assomiglia alla volontà di ottenere un risarcimento, per le sofferenze subite e le limitazioni che ci sono state imposte.

              In questi mesi, molti, a cominciare da Papa Francesco, hanno detto: “Nulla sarà come prima”. Mi sia permesso di dire che la maggioranza delle persone desidera proprio questo, mettere tra parentesi, cercare di dimenticare la durezza di questi anni. Ci saranno, però, delle persone che non riusciranno a ritornare come prima: sono coloro che sono stati feriti negli affetti, coloro che hanno vissuto lunghi mesi di isolamento e ora fanno fatica a immaginare che ci possano essere cose belle al di là di una porta che per troppo tempo è rimasta chiusa. Aiutare queste persone a ritornare nella comunità dei propri simili sarà una sfida, per chi governa le nostre città e anche per le comunità cristiane.

              Ci saranno anche coloro che diranno: “Anche questa battaglia è stata vinta!” e magnificheranno l’ingegno dell’uomo, che sa rimuovere gli ostacoli sulla via del progresso. Anche in questo caso, nulla di nuovo, rispetto all’ottimismo un po’ superbo della modernità.

              Abbiamo invece bisogno di un vero rinnovamento del cuore e della mente. Nel linguaggio cristiano, esso si chiama conversione. Facciamo però attenzione: troppo spesso, la conversione è intesa come l’appello rivolto all’uomo a fare buoni propositi, a impegnarsi nelle buone opere. Il Vangelo è un po’ più realista o, se vogliamo, pessimista: la buona volontà non basta, la conversione è una risurrezione: chi è morto, non può certo rivivere per le proprie forze, la nuova vita è un dono e il dono va umilmente chiesto a chi lo può elargire. Il Risorto incontra i suoi, che sono “sconvolti e pieni di paura”: per essi, la croce è stata davvero la fine di tutto, di ogni speranza e di ogni progetto. La nuova libertà, la vita nuova inizia per essi quando Gesù “apre loro la mente” (Lc 24,37 ss.).

              Non affrettiamoci, dunque,  a fare propositi e a interrogarci su quello che bisogna fare per evitare nuove crisi. Accettiamo il giudizio di Dio, che ci chiede di guardar dentro a noi stessi, a riconoscere la radice di Adamo, della sua superbia idolatrica. Dovremmo mettere in discussione la nostra visione del mondo. Per esempio: siamo davvero convinti  che la morte non è l’ultima parola? Il Risorto entra nella stanza dove si sono rinchiusi i suoi discepoli e “aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: Così sta scritto: Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati”. “Sta scritto”: quindi, la morte e il male non riescono a render vana la volontà di vita di un Dio che è Padre e che rimane fedele al suo progetto e alla sua promessa, che è la comunione con la sua creatura.

              Ma che cosa è la vita? Se non sto attento, anch’io rischio di limitarla alla sua breve durata terrena; d’altra parte, non posso accettare la sola sopravvivenza di una parte di me dopo la morte, come se a nulla valesse la mia avventura mondana. Il Vangelo dice che la nuova vita comincia quaggiù, che l’eterno scende nel tempo e lo risana. San Paolo parla dell’”uomo vecchio”, che viene messo a morte nel Battesimo, e dell’”uomo nuovo”, che in esso nasce e che si sviluppa e cresce nella carità. La carità è l’esperienza di Dio nella storia umana. La morte sarà un aprire gli occhi a quello che già possediamo. 

              Penso che noi, che abbiamo il dono della fede, dobbiamo rendere ai nostri fratelli uomini il servizio di annunciare questa vita nuova. La prima conseguenza è l’accettazione della morte terrena.  L’8 aprile 1945, dopo due anni di prigionia, si compiva il destino di Dietrich  Bonhoeffer, giovane teologo tedesco e sostenitore della resistenza contro Hitler. «È la fine, per me l’inizio della vita», rispose a chi gli diceva addio. Qualche anno prima, Teresa di Lisieux concludeva così la sua esistenza terrena: “Entro nella vita”.

18 aprile 2021                                                                     don Giuseppe Dossetti