In questo tempo di pandemia, ci sembra di avvertire il silenzio di Dio. Vorremmo che Egli ci spiegasse il senso di tanta sofferenza e ci desse una speranza, un indirizzo per il futuro. Questa domanda non è nuova; già Israele aveva dato voce a un’ invocazione, che si è ripetuta in tanti altri momenti della storia umana: “Svegliati! Perché dormi, Signore? Destati, non respingerci per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione?” (Salmo 44,24s.).
Il vangelo che si legge in questa domenica di arancione scuro può forse esserci di aiuto. Gesù entra nel Tempio di Gerusalemme e compie un atto di autorità, cacciando i venditori. Teniamo presente che il Tempio non era semplicemente un luogo di preghiera, ma era il luogo della Presenza di Dio in mezzo al suo popolo, anzi, in mezzo al mondo e alla sua storia. Era, sì, una presenza, ma una presenza inaccessibile: nel Santuario potevano entrare solo i sacerdoti, e nessuno, tranne il Sommo Sacerdote e solo una volta all’anno, nel giorno dell’Espiazione, poteva oltrepassare il Secondo Velo, che proibiva l’accesso al Santo dei Santi, il luogo santissimo, nel quale Dio aveva scelto di porre la sua presenza.
Gesù, col suo gesto, rivendica un’autorità sul Tempio. Questa era una bestemmia, per un Giudeo osservante, e sarà il capo d’accusa nel suo processo davanti al Sinedrio. Gli viene chiesto un segno, che legittimi il suo comportamento, ed egli dice: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere” (Gv 2,19). L’evangelista Giovanni aumenta lo sconcerto dei suoi lettori, chiarendo la pretesa contenuta nelle parole di Gesù: “Egli parlava del tempio del suo corpo”. Paolo di Tarso lo ha ben compreso, quando scrive: “In Gesù tutta la pienezza della divinità abita corporalmente” (Col 2,9) Questa frase condensa il paradosso scandaloso della fede cristiana: Gesù si propone come il luogo dell’incontro tra Dio e l’uomo e, per rispondere alla nostra domanda iniziale, come il luogo nel quale Dio ascolta e parla.
Rimane, tuttavia, quel velo, l’ultimo diaframma che impedisce la pienezza dell’incontro. Nel Tempio di Gerusalemme, quel velo si squarcerà, da cima a fondo, alla morte di Gesù (Mc 15,38): non ci sono più ostacoli, per nessuno, Giudeo o pagano. Il Vangelo di Giovanni, però, non riporta questo particolare, ma riferisce il colpo di lancia del soldato, che squarcia il petto di Gesù (Gv 19,34-37): il cuore di Cristo è il nuovo tempio, che si apre per accogliere ogni uomo, nessuno escluso. Anzi, lì ogni sofferenza umana trova riposo e consolazione. Da esso, come da una fonte, sgorgano acqua e sangue, un fiume di perdono e di vita, che ricorda la profezia di Ezechiele (Ez 47) e che fa rifiorire il deserto.
Dunque, la lancia del soldato è la chiave, che apre il santuario e consente a Dio di parlare. Domenica scorsa, Dio aveva parlato sul Tabor: era stata la preghiera di Gesù, che si consegnava alla volontà del Padre, a permettergli di dire la parola con la quale consegnava al mondo il suo Figlio: “Questo è il Figlio mio, l’amato!”. Nelle prossime domeniche, sarà sempre la passione di Gesù ad aprire la via della speranza e della vita. Dio riconquista il diritto alla parola, non con argomentazioni e ragionamenti, ma attraverso un atto definitivo, che pone fine a ogni disputa, che costringe al silenzio e all’umile contemplazione: la morte in croce, l’ingresso ultimo nell’abisso della sofferenza. Così avviene per le folle di Gerusalemme, convenute sul Golgota: “Tutta la folla, che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto” (Lc 23,48).
La croce è la parola che Dio ha scelto: in essa è contenuto tutto ciò che Dio ha da dire al mondo. Ancora Paolo di Tarso: “ Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1Cor 1,22-25).
07 marzo 2021 don Giuseppe Dossetti