Nel Salmo 51, il Miserere, leggiamo: “Un cuore spezzato e umiliato, o Dio, tu non disprezzi”. Penso che diventiamo veramente uomini solo quando siamo stati spezzati, cioè quando abbiamo fatto una vera e profonda esperienza del nostro limite. L’alternativa è Adamo, l’uomo che vuole diventare dio. Per questa pretesa, viene interrotto ogni rapporto, ogni “alleanza”. Non esiste più l’alleanza con Dio, che viene visto come nemico della nostra libertà; ma non esiste più neppure l’alleanza con gli altri uomini, con i quali si ingaggia la competizione per il potere.
Quanto dolore deriva da questo “peccato originale”! Ma proprio nella miseria l’uomo può ritrovare la sua grandezza. Scrive Pascal: «È bene sentirsi stanchi e affaticati dell’inutile ricerca del vero bene, al fine di tendere le braccia al liberatore».
Siamo nel tempo di Avvento e ci viene proposta la figura di Giovanni il Battista. Egli ricorda a ciascuno il proprio peccato. Egli propone il battesimo, cioè l’immersione nell’acqua, che simboleggia la morte. Ognuno di noi deve operare un sincero giudizio su se stesso: l’uomo vecchio deve morire, non c’è possibilità di riforma, di aggiustamenti; non valgono neppure i buoni propositi. C’è però qualcosa di grande, che l’uomo può fare: “confessare”, cioè riconoscere la propria povertà, e consegnarsi.
Consegnarsi a chi? Giovanni orienta a colui che “battezza nello Spirito Santo”, cioè a un intervento gratuito e creatore, come quando lo Spirito si librava sulle acque primigenie o come quando il soffio divino ha animato la statua di fango e ne ha fatto un uomo. Giovanni porta in sé tutta la ricchezza della Prima Alleanza, i suoi simboli, il suo linguaggio. Tuttavia, quando fa l’esperienza del dolore, non solo il credente, ma ogni uomo si rivolge a un Tu sconosciuto, assente e presente nello stesso tempo. Consegnarsi non vuol dire cadere nel vuoto: la ragione può obiettare che sono i nostri desideri a illuderci, ma qualcosa di più profondo ci dice che in realtà due braccia misericordiose ci accolgono.
Il battesimo di Giovanni inaugura dunque il tempo dell’attesa: non si tratta però di un’attesa inerte. C’è una richiesta perentoria, che sorge dal nostro intimo: ripristinare l’alleanza con gli altri uomini. Concretamente, questo vuol dire rinunciare alla competizione a favore della solidarietà. Significa dare a questa parola, solidarietà, un senso più vero: non l’episodio o un buon sentimento, ma una scelta di vita, il sentirsi davvero parte di un tutto, nel quale ciascuno è responsabile di tutti.
Chi si impegna su questa via, avrà una ricompensa immediata: avvertirà che la sua attesa ha un senso e che una risposta verrà e sarà una parola di pace.
Mi chiedo, allora, se per caso il virus della pandemia non sia un moderno Giovanni il Battista. Esso ricorda a chi vuole ascoltare la miseria e fragilità dell’uomo. Superando ogni confine, ci fa sperimentare una paradossale fraternità. Contro di essa, molti di noi si ribellano e continuano l’amaro gioco delle accuse e delle diseguaglianze. Forse, è per questo che bisogna andare nel deserto, per ascoltare il messaggio di Giovanni: fare un po’ di silenzio, rinunciando a qualche dibattito in televisione, chiedersi che cosa dice a ciascuno il tempo che stiamo vivendo. Ricostruiamo l’alleanza che ci stringe a ogni uomo. In questa alleanza, riscopriremo la dignità e la bellezza del nostro essere uomini: le grandi parole della consolazione riprenderanno la loro verità.
06 dicembre 2020 don Giuseppe Dossetti