VENITE ALLA FESTA – 29^ lettera in tempo di Coronavirus


Il “Regno dei Cieli”, che è il contenuto della predicazione di Gesù e anche della preghiera del cristiano (“Venga il tuo regno”), è spesso paragonato a un banchetto e, ancora più precisamente, a un banchetto di nozze. Non era frequente, a quei tempi, mangiare e bere bene, in abbondanza, sentirsi a proprio agio in mezzo a una comunità di amici e di concittadini. In particolare, le nozze erano un evento che allietava tutto il villaggio, che faceva sentir parte di un destino comune, di una “alleanza”.

              La cosa singolare è, che, mentre gli inviti degli uomini suscitano interesse e aspettativa, gli inviti di Dio sono molto meno apprezzati. Eppure, i cibi che vengono promessi sono di tutto riguardo: il perdono dei peccati, il rinnovamento della vita, l’appartenenza a una comunità, la gioia di un incontro che la morte non interrompe ma rende definitivo. Addirittura, il Regno viene donato ogni domenica nel “banchetto di nozze dell’Agnello”, in quella celebrazione eucaristica nella quale tutto si riassume e tutto ricomincia.

              Già nelle parabole del banchetto, gli invitati sembra abbiano cose più importanti da fare e declinano la chiamata insistente del padrone, del re, in certi casi cortesemente, in altri addirittura con violenza.

              Violenza a parte, anche ai nostri giorni l’invito non ha sempre successo. La pandemia ha lasciato a casa, per quasi due mesi, tutti coloro che frequentavano la Messa domenicale. Ora che si può ritornare, non tutti lo hanno fatto. Può forse dipendere dalla paura; tuttavia, vedo in questa esitazione anche un segno positivo. Le persone si stanno interrogando sul significato dell’ “andare a Messa” per la propria vita.

              Intendiamoci: la Messa è difficile e spesso noi preti e le nostre comunità la rendiamo noiosa. Potremmo certamente fare meglio, rendere più limpidi certi simbolismi, dare cura e bellezza ai riti. Tuttavia, c’è qualcosa di più. Vorrei toccare tre punti.

              Anzitutto, la Messa non è un’”opera buona”, il soddisfacimento di un precetto, un luogo dove attingere buoni pensieri. Essa è anzitutto un invito di Dio. Già questo fatto dovrebbe suscitare interesse. Come mai Dio desidera che noi partecipiamo alla sua festa? Notiamo che nelle parabole del banchetto il padrone insiste, manda ripetutamente dei messaggeri; il merito, la condizione sociale, le qualità morali degli ospiti non contano: la sala deve comunque riempirsi e i servi sono mandati a chiamare tutti, “cattivi e buoni”, addirittura con un invito pressante: “Costringeteli a entrare” (Lc 14,23). Siamo dunque importanti, per questo Dio innamorato della sua creatura, per un Dio che inspiegabilmente e appassionatamente la insegue. Dovremmo considerare questo aspetto, quando ci interroghiamo su noi stessi, su quello che siamo e sul valore che abbiamo. Forse, talvolta pensiamo di valere poco; ma non per Dio.

              La seconda considerazione riguarda i motivi del disinteresse e del rifiuto. La parola usata dal vangelo è molto chiara, anche in greco: “emporìa”, commercio, mercatura. Gli invitati della prima ora non vogliono essere disturbati nei loro affari. Papa Francesco mette in rilievo, anche nell’ultima Lettera Enciclica “Fratelli tutti”, come il virus sia entrato in una società già ammalata di brama di denaro e di egoismo. La tristezza dei poveri dipende molto dall’essere trattati come numeri, come un problema, come dei consumatori; essi si rasserenano, quando, con un gesto, con una telefonata, un saluto, li facciamo sentire importanti come persone.

              Da ultimo, si dice che la Messa è noiosa, perché è ripetitiva, sempre uguale. Ma la ripetizione è nella logica dell’amore. Se registrassimo le conversazioni tra due innamorati, troveremmo che le parole sono sempre le stesse, che essi non si stancano di dire e di ascoltare: “ti amo”. Così Gesù non si stanca di dire le parole, “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi”; e noi non dovremmo stancarci di ascoltarle.

11 ottobre 2020                                                                     don Giuseppe Dossetti